Di fronte alla nuova inchiesta della magistratura piacentina che vede coinvolti direttamente parlamentari, sindaci, alti dirigenti della Provincia e funzionari comunali, imprenditori noti e meno noti, cui si imputano gravissimi reati e più complessivamente “una sinergia criminale e associativa” e “il mercimonio della funzione pubblica”, il richiamo al garantismo rischia di mettere in secondo piano quella corretta azione di pulizia e di ritorno alla legalità che non spetta al processo penale ma alla società civile.
Se è vero che la “verità giudiziaria” richiede che le accuse vengano confermate dalle sentenze e che queste hanno i tempi che conosciamo, è altrettanto vero che esiste un piano di giudizio diverso, che non riguarda soltanto le responsabilità personali ma comprende il contesto più generale e che spetta ai cittadini, quindi ad ognuno di noi. Un’analisi ed un giudizio che possono iniziare subito, prendendo le mosse da quel “gravissimo quadro probatorio” che i provvedimenti della Procura ci hanno meritoriamente offerto.
Poiché i politici e i funzionari amministrano in nostro nome e per nostro conto ed anche gli operatori economici fanno parte della comunità, ed operano se e in quanto sono riconosciuti ed accettati da chi entra in relazione con loro, è sul diverso piano della “verità morale” che spetta a noi, ora e non domani, formulare un giudizio nei loro confronti e del sistema che ha reso possibile la loro azione criminale.
Anzi, a ben guardare, occorre anche una buona dose di autocritica, perché se si è creato un sistema malato ed endemico di corruzione e malaffare, pochi possono dirsi estranei all’andazzo collettivo di considerare spesso la legge come un impiccio da aggirare e lo Stato come un nemico, andazzo che di quel sistema rappresenta il brodo di cottura.
Questo forse spiega il perché molti di coloro che hanno commentato l’arresto dei Sindaci si sono detti increduli e certi che abbiano agito per il bene della comunità e quasi indotti dal groviglio della burocrazia, dimenticandosi che le risate di Castelli per il “gioco della panchina” o le riunioni di primarie e storiche imprese presso l’Unione industriali al fine di “spartirsi l’aggiudicazione dei lotti di interesse” in appalti pubblici, vanno ben oltre la violazione formale di vincoli procedurali. Vi è stato persino chi, in occasione della sentenza per i fatti della caserma Levante, ha criticato il giudice per le sue considerazioni sul contesto locale (ampiamente confermate dall’ultima inchiesta) o chi, di recente, si è scagliato contro la stampa locale, colpevole di fare bene il proprio mestiere.
In poche parole c’è una parte della società troppo attaccata allo status quo e che minimizza la gravità dei fatti e non si pone neppure nella prospettiva di un possibile cambiamento messo in moto anche da ognuno di noi. Allora dobbiamo evitare proprio quello che è successo con la tangentopoli nazionale, di cui abbiamo da poco ricordato il trentennale.
Abbiamo coltivato l’illusione di un potere salvifico della magistratura penale, abbiamo demolito i vecchi partiti politici e cambiato la classe politica, ma non abbiamo ancora fatto avanzare la società civile ed in essa fatto emergere quegli anticorpi alla corruzione e al malaffare che sono il rispetto spontaneo della legge, la partecipazione civica, l’attaccamento alle istituzioni e la rigenerazione delle formazioni sociali.
Tutto quel contesto di moralità diffusa che se fossimo capaci di costruire isolerebbe corrotti e corruttori ancor prima che possano farsi “sistema”. In questa direzione fondamentale sarebbe la mobilitazione dell’associazionismo, anche imprenditoriale e professionale, per individuare quelle azioni concrete del tipo di quelle indicate dal segretario provinciale della Camera del Lavoro Gianluca Zilocchi per il settore degli appalti pubblici.
Solo un’azione corale di tutta la società civile può affiancare la repressione penale e assicurare il risultato di una città in cui gli onesti si sentano a casa loro.
Da Libertà, quotidiano di Piacenza, 2 marzo 2022