È certamente dovuta alla indiscussa prudenza del presidente del Consiglio Mario Draghi la circostanza che nel suo discorso di insediamento davanti al Parlamento alla riforma della pubblica amministrazione, pur definita improcrastinabile, egli abbia dedicato solo pochi cenni.
Si tratta di uno scoglio su cui le ricorrenti promesse di tutti i governi succedutisi negli anni, dal dopoguerra a oggi, si sono quasi sempre arenate, essendosi per lo più limitati a inondare il contesto, su cui si dovrebbero muovere uffici e funzionari con rapidità e snellezza, di una massa di norme ingestibile e al limite dell’inconoscibilità.
Da qui il risultato opposto della paura della firma, dalla parte del pubblico, e dell’incertezza assoluta dei propri diritti
e dell’esito del procedimento da parte di cittadini e imprese. Una missione impossibile quindi?
Forse no, ad alcune condizioni.
La prima è di avere una visione o, meglio, una concezione complessiva della Pa, che consiglierei al ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta di ricavare dall’insegnamento del suo conterraneo Feliciano Benvenuti: una pubblica amministrazione democratica, che responsabilizza il cittadino, coinvolgendolo in un procedimento in cui il rapporto di potere si riequilibria, giungendo a una decisione di qualità perché si avvale dell’apporto di più punti di vista e si fonda su un più vasto consenso e che quindi guarda al cittadino né come un nemico né come un semplice “cliente”, ma come un alleato che coopera per un fine comune.
Si tratta di una concezione liberale, che punta al rafforzamento del cittadino e lo svincola dalla tradizionale sudditanza, che è spesso anche all’origine della corruzione.
Si potrebbe partire dall’affermare, in ogni settore dell’azione amministrativa, il “diritto alla risposta”, perché è nel silenzio e nell’inerzia che si annida il peggio dell’azione degli Enti pubblici.
Ma non una risposta qualsiasi e in puro stile burocratico, ma leale e collaborativa: che possa quindi indirizzare a una soluzione del problema in tempi rapidi, minimizzando il sacrificio del privato e indicando tempi e modi di conclusione del passaggio burocratico, ovviamente nei limiti rigorosi della legge.
Un obbligo di lealtà sanzionato pesantemente, in modo che venga superato il timore della firma e la tentazione di non far nulla, ribaltando il problema sulla scrivania del giudice.
A proposito di quest’ultima, sempre una concezione liberale non può che respingere ogni proposta, peraltro chiaramente in contrasto con l’art. 113 della Costituzione e con l’ordinamento comunitario, di sbarazzarsi dei giudici amministrativi.
Al contrario, una seconda riforma di grande efficacia, per combattere l’eccesso di contenzioso (peraltro più temuto che reale) e assicurare efficacia e legalità nell’impiego dei fondi europei, potrebbe essere quella di sperimentare, in questo specifico settore, un’esecutorietà degli atti rafforzata.
Una sorta di “sospensiva al contrario”: cioè la sottoposizione dei provvedimenti che attuino progetti a valenza comunitaria a un visto di esecutività dei giudici amministrativi, da attribuire all’esito di un immediato contraddittorio aperto a tutti i possibili interessati. Del tipo di quello della scena del matrimonio davanti all’altare: chi è contro questa decisione parli ora o taccia per sempre.
Un visto ovviamente impugnabile in appello ai soli fini risarcitori, ma senza più possibilità di essere sospeso nei suoi effetti immediati.
Una terza riforma di facile attuazione, che attuerebbe
la direttiva che il presidente Draghi ha annunciato nel suo discorso, di selezionare nelle assunzioni le migliori competenze e attitudini, è quella di imporre in qualsiasi tipo di concorso pubblico (e di selezione nella galassia delle partecipate) la videoregistrazione di tutte le prove ed i colloqui orali.
L’esperienza insegna, infatti, che è proprio all’orale che si vedono volare in alto gli asini raccomandati, senza che di questo crimine contro la buona amministrazione resti traccia alcuna e vi sia rimedio efficace.
In conclusione, è ben vero che il compito è di tale portata e difficoltà da far tremare i polsi anche di un uomo certamente pugnace come il nuovo ministro, ma il momento è favorevole ed è fondamentale prendere la direzione giusta, facendo anche poche cose, ma certamente di grande impatto anche nell’immaginario collettivo.