Rifiuti

Pubblicato: 19 Ottobre 2008

Rassegna di giurisprudenza in materia di rifuti dal 1997 al 2002

Sommario:

 

- Abbandono

- Albo Gestori

- Amianto

- Analisi e prelievi

- Batterie esauste

- Bonifica siti contaminati

- Competenze (regioni)

- Deposito temporaneo

- Discarica

- Disciplina regionale

- Disciplina transitoria

- Fanghi, fertilizzanti e liquami

- Frantoi oleari

- Imballaggi

- Inceneritori

- Intermediazione

- Miscelazione

- Nettezza urbana

- Nozione

- Olii usati

o Ordinanze contingibili e urgenti

o Recupero (e riutilizzo)

o Registri di carico e scarico

o Responsabilità (e delega di funzioni)

o Rifiuti da scavi e da demolizione

o Rifiuti liquidi (rapporto acqua-rifiuti)

o Rifiuti pericolosi

o Sanitari (ospedalieri)

o Sanzioni in genere

o Sequestro

o Smaltimento

o Stoccaggio

o Tassa/tariffa

o Trasporto (e formulari)

o Veicoli fuori uso

 

 

Abbandono
(D.L.vo 05.02.1997, n. 22, art. 14, art. 50, art. 51)

 

Il proprietario che non sia anche produttore dei rifiuti risponde dell’abbandono sul suolo dei medesimi se questo sia a lui imputabile a titolo di dolo o colpa ovvero se abbia acquistato un’area inquinata, come tale gravata da onere reale. Qualora non ricorrano tali condizioni, non sussistono a suo carico gli obblighi previsti dal D.L.vo n. 22/97 di procedere a proprie spese a rimozione, all’avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi. * Cons. Stato Sez. V, 8 marzo 2001, n. 1347 (c.c. 31 ottobre 2000). Pres. Rosa – Est. Baccarini – Ric. Comune di Goito (avv.ti Arria e Romanelli) c. Giubertoni ed altri (Giarolio e Sivieri)

 

Ai sensi dell’art. 14 del D.L.vo n. 22/97, il proprietario di un’area sulla quale sono stati depositati da terzi rifiuti è obbligato alla rimozione dei medesimi non in ragione di tale sua qualità bensì unicamente in caso di accertata imputabilità a titolo di dolo o colpa. (Fattispecie in tema di abbandono di rifiuti sulla pubblica strada). * Tar Campania, sez. di Napoli, 12 marzo 2002, n. 1291

 

In caso di riversamento ripetuto di rifiuti su un sito da parte di terzi ignoti, il proprietario o comunque titolare in uso di fatto del terreno non può essere chiamato a rispondere della fattispecie di abbandono/deposito incontrollato di rifiuti sulla propria area se non viene individuato a suo carico l’elemento soggettivo del dolo o della colpa. Conseguentemente lo stesso soggetto non può essere destinatario di ordinanza sindacale di rimozione e rimessione in pristino ex artt. 14 e 50 D.L.vo n. 22/97, con sanzione penale in caso di inosservanza. In antitesi, si tratterebbe di caso di responsabilità oggettiva. Il proprietario o comunque titolare in uso di fatto del terreno può essere destinatario in tal caso della ordinanza sindacale emessa secondo i principi generali extra D.L.vo n. 22/97 e sarà semmai parte lesa nel procedimento a carico dei terzi autori del fatto ove individuati.

* Pret. civ. Terni, 2 luglio 1999, n. 595, Fantoni c. Comune di Lugnano in Teverina. (D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, art. 14; D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, art. 50), in Arch. civ. 1999, 1290.

 

 

 

Albo Gestori
(L. 29.10.1987, n. 441; L. 11.11.1996, n. 575; D.L.vo 05.02.1997, n. 22, art. 30; D.M. 406/1998)

 

In tema di gestione dei rifiuti il soggetto regolarmente iscritto all’Albo delle imprese che svolgono attività di raccolta e trasporti di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi (ai sensi dell’art. 30, comma 4, del D.L.vo 22 del 1997 e 12 del D.M. 406 del 1998) deve, nell’ipotesi in cui intenda svolgere attività di raccolta e trasporto dei rifiuti “effettivamente avviati al riciclaggio ed al recupero”, procedere anche all’iscrizione in forma semplificata (ex artt. 30, comma 16, del D.L.vo 22 e 13 del D.M. 406 del 1998), ciò per la netta separazione sussistente fra le due procedure, correlate ad attività per le quali l’ordinamento richiede forme diverse di controlli. In difetto di tale diversa iscrizione si configura l’ipotesi di reato di cui all’art. 51, comma 1, del D.L.vo n. 22 del 1997. * Cass. pen., sez. III, 4 luglio 2000, n. 1492, P.M. in proc. Pantano D.

 

 

Amianto
(L. 27.03.1992, n. 257)

 

Ai sensi dell’art. 2 L. 27 marzo 1992, n. 257, per rifiuto di amianto deve intendersi quel materiale che, qualunque sia l’origine da cui lo stesso derivi, sia essa estrattiva o conseguenza di un processo di trasformazione di un materiale preesistente, non sia più riutilizzabile e sia, pertanto, in grado di disperdere nell’ambiente le fibre da cui è composto; pertanto, poiché il requisito fondamentale della nozione di rifiuto consiste nella impossibilità di alcuna riutilizzazione successiva dei materiali da mettere a dimora nella discarica, risulta inconferente ogni richiamo normativo alle disposizioni concernenti i rifiuti alle fattispecie di riutilizzazione dei rifiuti decoibentati di amianto. * Tar Lazio, sez. III, 25 febbraio 1999, n. 437.

 

In tema di rifiuti tossici e nocivi, la qualità della friabilità dei rifiuti contenenti amianto, di cui all’art. 12, sesto comma, della L. n. 257/1992, è da sola sufficiente a giustificare l’attribuzione ad essi (nella fattispecie, tubazioni) della qualifica di rifiuti tossici e nocivi ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. n. 915/1982, non essendo necessaria a tal fine un’analisi quantitativa onde verificare l’esatto grado di concentrazione dell’amianto, ma occorrendo, invece, una valutazione qualitativa da effettuare di volta in volta in relazione alle singole condizioni dei rifiuti. Dalla qualificazione come rifiuti tossici e nocivi dei rifiuti contenenti amianto deriva la necessità dell’autorizzazione per il loro stoccaggio, in base al disposto dell’art. 16 del D.P.R. n. 915/1982.

* Corte app. pen. Torino, 16 maggio 1997, Tiragallo. (L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 12; D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 2; D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 16), in Riv. pen. 1997, 1145.

 

 

Analisi e prelievi

(Delib. Comitato interministeriale 27.07.1984 punto 6.4; L. 24.11.1989, n. 689)

In materia di rifiuti, le procedure di prelievo e le analisi dei campioni sono disciplinate nel punto 6.4 della delibera del comitato interministeriale 27 luglio 1984 (G.U. n. 253 del 13 settembre 1984, supplemento). Per il prelievo occorre redigere apposito verbale con lo specifico contenuto indicato nella predetta delibera. Per le analisi di campioni dei rifiuti, a differenza di quanto avviene in materia di acque con la legge 10 maggio 1976, n. 319 e la sentenza della Corte costituzionale n. 248 del 1983, ove è obbligatorio il solo preventivo avviso, essendo i campioni sempre deteriorabili, occorre distinguere l’ipotesi ordinaria (in cui vi è possibilità di revisione) da quella di “campioni rapidamente deteriorabili”, per cessioni chimiche alle acque od alla atmosfera (ipotesi nella quale il preavviso è obbligatorio per rendere valide le analisi).

* Cass. pen., sez. III, 31 gennaio 1995, n. 1017 (ud. 16 novembre 1994), Liuni.

 

L’art. 15 della legge n. 689 del 1981 circonda di speciali garanzie gli accertamenti mediante analisi di campione, al fine di consentire all’interessato la revisione dell’esame con la partecipazione di un proprio consulente tecnico. Tuttavia, la garanzia della difesa tecnica, in funzione dell’ineccepibilità dei risultati dell’accertamento, può dirsi assolutamente soddisfatta quando agli esami abbia proceduto lo stesso interessato che la certificazione analitica, così da lui acquisita, abbia poi fatto oggetto della prescritta dichiarazione periodica. (Nella specie, la Provincia di Genova infliggeva ad una società di gestione di un inceneritore le sanzioni pecuniarie per la violazione della legge della Regione Liguria n. 11 del 1985, per superamento del limite massimo di emissione di anidride solforosa nell’atmosfera. Il pretore, su opposizione della società, annullava l’ordinanza-ingiunzione della provincia, rilevando che il superamento del menzionato limite non era risultato dagli accertamenti disposti nell’esercizio del potere di vigilanza e controllo dell’Ente, bensì era stato documentato con certificati di analisi prodotti dalla stessa società, la quale era tenuta ad eseguire, durante il collaudo, un certo numero di analisi sulle emissioni di sostanze nocive. La S.A., in applicazione dell’enunciato principio, ha cassato la sentenza del merito impugnata dalla Provincia di Genova). * Cass. civ., sez. I, 7 novembre 1996, n. 9721, Provincia di Genova c. Biagi & C.

 

 

 

Batterie esauste

(D.L.vo 05.02.1997, n. 22, art. 7, comma 3, lett. l); D.L. 09.09.1988, n. 397, art. 9 quinquies)

 

Le batterie esauste di autoveicoli sono ancora considerate rifiuto speciale ai sensi dell’art. 7, comma terzo, lett. l) del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22. La raccolta ed il conseguente stoccaggio delle batterie esauste appartenenti a terzi rientra nella definizione di stoccaggio formulata dall’art. 6, comma primo, lett. l) del medesimo provvedimento; pertanto lo smaltimento di rifiuti speciali prodotti da terzi mediante stoccaggio di batterie esauste senza autorizzazione è sanzionata dall’art. 51, comma primo, del D.L.vo n. 22 del 1997, che ha ripreso la precedente statuizione dell’art. 25 del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915.

* Cass. pen., sez. III, 1 luglio 1998, n. 1575 (c.c. 18 maggio 1998), Cauzzo, in Arch. giur. circ. 1998, 1130.

 

Nel caso di trasporto di rifiuti pericolosi (quali, in particolare sono considerate le batterie esauste), senza il prescritto formulario o con il formulario nel quale siano indicati dati inesatti o incompleti non può trovare applicazione, in luogo della sanzione penale prevista dall’art. 52, comma 3, del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22 (mediante richiamo, quoad poenam all’art. 483 c.p.), la sanzione amministrativa di cui al successivo comma 4 del medesimo art. 52.

* Cass. pen., sez. III, 4 maggio 2000, n. 1134, Del Prete.

 

Il trasporto di batterie esauste in soprannumero rispetto al quantitativo indicato nel formulario non può trovare giustificazione nel fatto che le batterie in eccesso siano state raccolte sul territorio ove erano state abbandonate da ignoti.

* Cass. pen., sez. III, 4 giugno 2000, n. 1134, Del Prete.

 

Il trasporto di batterie esauste (rifiuti pericolosi) con formulario nel quale non sia indicato il percorso d’instradamento, in difformità di quanto previsto dal modello stabilito con D.M. 1 aprile 1998, n. 145, dà luogo alla configurabilità del reato di cui all’art. 52, comma 3, del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, nulla rilevando in contrario l’assunto secondo il quale la suddetta mancata indicazione sarebbe dipesa dal fatto che le batterie erano state raccolte presso vari detentori e nel modello di formulario mancherebbe lo spazio per indicarli tutti; ciò in quanto il modello anzidetto è appositamente concepito per documentare il trasporto dei rifiuti da un solo produttore-detentore ad un solo destinatario, per cui il trasportatore autorizzato deve utilizzare tanti formulari quanti sono i singoli percorsi d’instradamento da ogni produttore-detentore al destinatario. * Cass. pen., sez. III, 29 maggio 2000, n. 1040, Laezza.

 

Lo smaltimento non autorizzato di sei batterie esauste in un’area adiacente ad un’officina di proprietà di un meccanico che svolge tale attività non in forma di impresa ma in maniera non professionale ed occasionale, non integra il reato di cui agli artt. 16 e 26 del D.P.R. n. 915/1982 (che sono stati espressamente abrogati dal D.L.vo n. 22/1997) e nemmeno quello di cui all’art. 51, secondo comma, del c.d. «Decreto Ronchi» (deposito incontrollato di rifiuti da parte del titolare di un’impresa) in quanto nella specie l’attività viene svolta in maniera solo occasionale). * Cass. pen., sez. III, 24 maggio 1999, n. 1325 (c.c. 12 aprile 1999), P.G. in proc. Mori ed altro, in Riv. pen. 1999, 655.

 

L’effettuazione, senza autorizzazione regionale, di una fase dello smaltimento di rifiuti tossici e nocivi, quali gli accumulatori, precedentemente sanzionata dall’art. 26 del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, concreta ora l’attività di smaltimento di cui alla lett. g) dell’art. 6 del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22. Ne consegue che la sanzione prevista per il reato in questione, smaltimento non autorizzato di rifiuti pericolosi, è quella prevista dall’art. 51, comma 1 lett. b) del decreto n. 22. * Cass. pen., sez. III, 13 gennaio 2000, n. 297 (ud. 30 novembre 1999), Magarelli G.

 

 

 

Bonifica siti contaminati
(D.L.vo 05.02.1997, n. 22, art. 17, art. 51 bis; D.M. 25.10.1999, n. 471)

 

La contravvenzione di cui all’art. 51 bis del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 si configura come reato omissivo di pericolo presunto che si consuma ove il soggetto non proceda all’adempimento dell’obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dell’art. 17. La norma predetta si applica anche a situazioni verificatesi in epoca anteriore all’emanazione del regolamento di cui al D.M. 25 ottobre 1999 n. 471 (in vigore dal 16 dicembre 1999). * Cass. pen., sez. III, 7 giugno 2000, n. 1783 (c.c. 28 aprile 2000), Pizzuti F.

 

E’ illegittimo il provvedimento con cui il Sindaco ordina ad un Consorzio proprietario di un sito asseritamene inquinato di eseguire gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e ripristino ambientale, qualora non sia stato previamente comunicato l’avviso di avvio di procedimento e il provvedimento non contenga alcun elemento in ordine all’accertamento della responsabilità dell’inquinamento. TAR Milano, sent. n. 2653 del 27 marzo 2001.

 

Ai sensi degli artt. 17 D.Lgs. n. 22/97 e 8 D.M. 471/99, che individua i poteri e le procedure di intervento della P.A. in materia di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, il solo soggetto su cui legittimamente grava l’obbligo di provvedere, su diffida del Comune, ai necessari interventi di messa in sicurezza di emergenza, di bonifica e ripristino ambientale, è il responsabile dell’inquinamento e non anche il soggetto ritenuto più idoneo a rimuovere la situazione di inquinamento quale il proprietario attuale dell’area. TAR Milano, Sez. I, sentenza n. 956/01 del 13 febbraio 2001.

 

La disciplina ex D.Lgs. 22/97 e D.M. 471/99 si applica anche a fenomeni di contaminazione sorti anteriormente a tale normativa, purchè i livelli di inquinamento siano perduranti e ancora in atto al momento dell’entrata in vigore della stessa. E’ legittimo che l’ordinanza ex art. 8 D.M. 471/99 sia notificata anche al proprietario dell’area inquinata, che viene informato solo ai fini dell’onere reale e del privilegio speciale che grava sul bene; il proprietario che non sia anche il responsabile dell’inquinamento non può invece essere direttamente destinatario dell’ordine di bonifica; corretto è l’ordine indirizzato all’ex proprietario dell’area che sia individuato come responsabile dell’inquinamento, a nulla rilevando che non abbia più la disponibilità materiale del bene; tuttavia, in assenza di un’istruttoria in contraddittorio con le parti interessate l’ordine va considerato illegittimo. TAR Milano, sent. n. 987 del 13 febbraio 2001.

 

 

 

Competenza e giurisdizione

 

Spetta allo Stato, e per esso al Ministero dell’ambiente, adottare il decreto ministeriale 5 febbraio 1998 (Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero, ai sensi degli artt. 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22). * Corte cost., 3 maggio 2000, n. 127 (ud. 13 aprile 2000), Confl. attrib. tra Stato e Regioni.

 

In tema di rapporti tra giudizio penale e giudizio amministrativo, l’efficacia preclusiva del giudizio penale ricorre solo quando il primo abbia accertato che il fatto non sussiste, o che l’imputato non lo ha commesso o che l’ha commesso nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa. Tale principio vale anche per la disciplina di cui all’art. 55, terzo comma, del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22. * Pret. pen. Udine, decr. 18 aprile 1997, Nobile, in Riv. pen. 1997, 614.

 

In tema di rifiuti speciali, speciali di origine industriale assimilabili agli urbani o tossici e nocivi, il differimento per l’anno 1993, dal 28 febbraio al 30 giugno 1993, disposto dall’art. 18 del D.L. n. 48 del 1993, per l’anno 1993, relativamente al termine per la comunicazione, prevista dall’art. 3 comma terzo del D.L. n. 397 del 1988 (convertito con modificazioni nella legge n. 475 del 1988), alla regione o alla provincia eventualmente delegata, della quantità e qualità di rifiuti prodotti e smaltita, in funzione della tenuta del catasto di detti rifiuti, si deve intendere esteso anche alla comunicazione alla provincia entro quello stesso termine, prevista a diversi effetti (e sanzionata, a differenza dell’altra, solo sul piano amministrativo e non penale), dall’art. 3 comma quarto della legge Reg. Liguria n. 1 del 1990, in funzione dello svolgimento della relativa funzione di controllo in materia.

* Cass. civ., sez. I, 15 giugno 1999, n. 5930, Amm. Provinciale La Spezia c. Bortolamiol. (D.L. 9 settembre 1988, n. 397, art. 3; D.L. 2 marzo 1993, n. 48, art. 18; L. 5 maggio 1996, n. 25, art. 10).

 

 

 

Deposito temporaneo.

(D.L.vo 05.02.1997, n. 22, art. 6, comma 1, lett. m)

 

La disciplina dettata per il deposito temporaneo dei rifiuti non pericolosi dall’art. 6, comma 1, lett. m), punto 3, del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, va intesa (privilegiando doverosamente, fra le varie interpretazioni possibili, quella che risulta più aderente alla direttiva comunitaria di cui il citato decreto legislativo costituisce attuazione), nel senso che il deposito temporaneo potrà essere mantenuto fino al termine di durata di un anno solo se in tutto il detto arco temporale, e cioè complessivamente, non venga superato il limite di 20 metri cubi, assumendo autonomo rilievo la cadenza almeno trimestrale prevista nella prima parte della suddetta disposizione per l’avvio del materiale alle operazioni di recupero o di smaltimento solo quando i vari conferimenti siano tutti inferiori ai venti metri cubi e siano avviati alle suddette operazioni prima del raggiungimento del summenzionato limite quantitativo mentre, in ogni caso, l’avviamento deve essere effettuato quando il medesimo limite viene raggiunto. * Cass. pen., sez. III, 21 aprile 2000, n. 4957 (ud. 21 gennaio 2000), Rigotti ed altri.

 

Il deposito temporaneo previsto dall’art. 6 del D.L.vo n. 22/97 rappresenta una ipotesi a carattere eccezionale e derogatorio rispetto alle ordinarie attività di “gestione” dei rifiuti previste dalla medesima norma e soggette al regime autorizzatorio delineato dall’art. 28, penalmente sanzionato in caso di violazioni. Per ritenere sussistenti i presupposti in fatto ed in diritto che legittimano tale figura in relazione ad un considerevole quantitativo di rifiuti propri depositati da un’azienda nella propria area, deve sussistere il rigoroso e puntuale soddisfacimento di tutte le condizioni tecniche, quantitative e temporali previste dal citato art. 6 decreto-rifiuti con conseguente doverosa verifica sia nei documenti aziendali che nelle condizioni che danno luogo alla formazione dei rifiuti presso quel sito; in difetto, trattasi di ordinaria attività di gestione di rifiuti svolta in modo illecito e soggetta alle sanzioni penali conseguenti (nel caso di specie: discarica abusiva ex art. 51, 3 comma, D.L.vo n. 22/97). * Cass. pen., sez. III, 5 aprile 2001, n. 13808, Capoccia.

 

Il deposito temporaneo di rifiuti ai sensi dell’art. 6, punto m), del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 è legittimo soltanto ove sussistano alcune precise condizioni temporanee quantitative e qualitative; in assenza di tali condizioni, il deposito di rifiuti nel luogo in cui sono stati prodotti è equiparabile giuridicamente all’attività di gestione di rifiuti non autorizzata, prevista come reato dall’art. 51 del D.L.vo 22. * Cass. pen., sez. III, 19 giugno 2000, n. 7140, Eterno B.

 

Il deposito temporaneo di rifiuti aziendali rappresenta deroga di eccezione rispetto all'ordinario regime di gestione dei rifiuti sulla base di alcuni parametri quantitativi e temporali delineati dal decreto legislativo n. 22/97, con la conseguenza che un accumulo di rifiuti al di fuori del rispetto di tali presupposti formali e sostanziali costituisce discarica abusiva in violazione del sistema gestionale ed autorizzatorio previsto dalla normativa vigente. Corte di cassazione, sez. III, 10 ottobre 2001, n. 2597 (ud. 24 settembre 2001). Pres. Lamberto- - Est. Squassori - - P.M. Passacantando (conf.) - - Ric. Bistolfi.

 

 

 

Discarica

(D.L.vo 05.02.1997, n. 22, art. 13, art. 5,1; D.M. 11.03.1998, n. 141)

 

In tema di smaltimento di rifiuti solidi urbani, anche il comune, benché gravato dell’obbligo di provvedere allo smaltimento, ove intenda farlo a mezzo di discarica deve ottenere l’autorizzazione regionale. (Nella specie la Corte ha escluso che valga a scriminare lo smaltimento in assenza di autorizzazione l’adozione dell’ordinanza contingibile ed urgente ex art. 12 D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915 ora art. 13 D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 con efficacia protratta per oltre un quinquennio). * Cass. pen., sez. III, 29 maggio 1998, n. 6292 (ud. 17 aprile 1998), Cuda R.

 

Le condotte consistenti nella gestione di una discarica comunale di rifiuti solidi urbani senza autorizzazione regionale e senza adottare tutte le misure necessarie ad evitare un deterioramento della situazione igienico-sanitaria ed ambientale preesistente erano punite dagli artt. 25, secondo comma, e 32, secondo e terzo comma, del D.P.R. n. 915/1982. Con l’entrata in vigore del D.L.vo n. 22/1997 la gestione di una discarica non autorizzata è punita dall’art. 51, terzo comma, del decreto legislativo suddetto. La nuova disciplina non prevede alcun reato analogo a quello contemplato dall’art. 32 D.P.R. n. 915/1982, né è applicabile la deroga al principio della non ultrattività della norma incriminatrice, stabilita dall’art. 2, quarto comma, c.p., in quanto l’art. 32 è semplicemente una norma transitoria e non una legge eccezionale o temporanea. * Cass. pen., sez. III, 9 ottobre 1997, n. 9157 (ud. 15 luglio 1997), Felice, in Riv. pen. 1997, 1098.

 

Al fine della configurazione del reato, il concetto di gestione di discarica deve essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi contributo sia attivo che passivo diretto a realizzare ed anche tollerare e mantenere lo stato di fatto che costituisce reato. Integra perciò gli estremi del reato previsto dall’art. 25 D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915 l’interramento di rifiuti da altri depositi, essendo evidente il danno ecologico provocato da tale attività. Nel concetto di smaltimento di rifiuto devono infatti essere comprese tutte le fasi della vita dello stesso, che possono dividersi in: a) operazioni preliminari (conferimento, spazzamento, cernita, raccolta e trasporto); b) operazioni di trattamento (trasformazione, recupero, riciclo, innocuizzazione); c) operazioni di deposito (temporaneo e permanente nel suolo e sottosuolo). (Fattispecie relativo all’inizio di spianamento di terreno adibito a deposito di rifiuti). * Cass. pen., sez. III, 29 luglio 1999, n. 1819 (c.c. 12 maggio 1999), P.M. in proc. Di Liberto.

 

Esiste una continuità sostanziale dell’illecito relativo al deposito incontrollato di rifiuti tra il D.P.R. n. 915/82 ed il D.L.vo n. 22/97, in quanto ora tale comportamento è sanzionato in modo diretto dall’art. 51, comma 2, del c.d. "Decreto Ronchi", mentre nella disciplina previgente rientrava nel concetto generale di smaltimento senza autorizzazione ex artt. 16 e 26 del suindicato D.P.R. * Cass. pen., sez. III, 23 febbraio 2000, n. 2110 (ud. 10 gennaio 2000), P.M. in proc. Terrile.

 

Per la configurazione dell’elemento materiale della contravvenzione di realizzazione di una discarica abusiva, occorre verificare la sussistenza di due elementi, costituiti dal ripetitivo accumulo nello stesso luogo di sostanze oggettivamente destinate all’abbandono e dalla trasformazione, sia pur tendenziale, del sito, degradato dalla presenza dei rifiuti. (Fattispecie in tema di accumulo di ceneri derivate dall’ordinaria attività di funzionamento di centrale ENEL relativamente alle quali si riscontrava una macroscopica eccedenza dei quantitativi di scorie accumulate rispetto a quelle periodicamente rimosse tale da evidenziare non un deposito più o meno controllato bensì un vero e proprio abbandono sistematico). * Cass. pen., sez. III, 13 novembre 2000, n. 11599 (ud. 11 ottobre 2000), Cimini.

 

Ai fini dell’imposizione o del mantenimento del sequestro preventivo di una discarica di rifiuti solidi urbani, in relazione alle ipotesi di reato di cui all’art. 51, comma 3, del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 e all’art. 1 sexies della L. 8 agosto 1985 n. 431, addebitati al sindaco di un comune, sull’assunto della illegittimità delle ordinanze contingibili e urgenti da lui adottate, ai sensi prima dell’art. 12 del D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915 e poi dell’art. 13 del citato D.L.vo n. 22 del 1997, il giudice di merito (nella specie, tribunale del riesame), non può esimersi, nell’ambito della doverosa verifica circa la sussistenza o meno del fumus delicti, dal prendere in esame gli elementi addotti dall’interessato a confutazione dell’asserita illegittimità delle suddette ordinanze. * Cass. pen., sez. III, 19 febbraio 1999, n. 22 (c.c. 12 gennaio 1999), La Greca, in Riv. pen. 1999, 344.

 

La gestione dei rifiuti costituisce per i comuni una assoluta priorità, perché tocca in modo grave la salute dei cittadini e la protezione delle risorse naturali, interessi di rango costituzionale; pertanto è da ritenere responsabile del reato di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 915/82, il sindaco di un comune che non richieda l’autorizzazione regionale per la gestione di una discarica di rifiuti urbani lamentando l’insufficienza delle risorse economiche da destinare all’impianto. * Cass. pen., sez. III, 23 febbraio 2000, n. 2103 (ud. 10 gennaio 2000), Mucci, in Riv. pen. 2000, 588.

 

Non dà luogo alla configurabilità del reato di realizzazione o esercizio di una discarica abusiva già previsto dall’art. 25 dell’abrogato D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915 ed ora dall’art. 51, comma 3, del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 la condotta di chi, avendo la disponibilità di un’area sulla quale altri abbiano abbandonato rifiuti, si limiti a non attivarsi perché questi ultimi vengano rimossi. * Cass. pen., sez. III, 3 ottobre 1997, n. 8944 (ud. 2 luglio 1997), Gangemi.

 

Non è configurabile il reato di realizzazione di discarica abusiva nel caso di uno scarico episodico ed occasionale di un non ingente quantitativo di rifiuti sul suolo, in uno spazio dalle dimensioni modeste e senza che l’area sia stata destinata di fatto a deposito o ricettacolo di rifiuti. (Nella specie, il quantitativo di rifiuti speciali conferiti sul suolo è di circa 2 metri cubi).

* Pret. pen. Udine, 5 novembre 1998, Ferro, in Riv. pen. 1999, 371

 

In tema di smaltimento di rifiuti nelle discariche di Tipo B, qualora nel provvedimento autorizzativo il riferimento ai rifiuti di cui è consentito lo smaltimento sia operato in negativo con il divieto di scarico di sostanze non contemplate nel punto 4.2.3.2. della D.I. 27 luglio 1984, il richiamo alla delibera è operato in linea generale, ossia con riguardo al primo comma del punto 4.2.3.2. della suddetta delibera, e come tale costituisce una prescrizione; ne consegue che il conferimento di rifiuti di cui al secondo comma del punto 4.2.3.2. della delibera interministeriale, per il quale è necessaria un’espressa previsione nel provvedimento autorizzativo, costituendo un’eccezione al regime delle discariche di Tipo B, integra il reato di cui all’art. 27 del D.P.R. n. 915/1982, punito ora dall’art. 51, quarto comma, del D.L.vo n. 22/1997.

* Pret. pen. Udine, sez. dist. Cividale del Friuli, 14 agosto 1997, Vercesi ed altro, in Riv. pen. 1998, 377.

 

La normativa vigente, ponendo la condizione del provvedimento autorizzativo da parte della regione per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per l’installazione e gestione dei relativi impianti (trattamento, stoccaggio, discarica), non prevede deroghe o situazioni particolari di possibile esenzione a favore di soggetti pubblici o privati. Pertanto l’autorizzazione regionale per la gestione di discariche è necessaria anche per il sindaco di un comune, pur se obbligato per legge allo smaltimento dei rifiuti. * Cass. pen., Sezioni Unite, 21 aprile 1989, n. 6169 (ud. 28 febbraio 1989), Porto.

 

La domanda, con la quale il privato, denunciando l’installazione da parte del comune di una discarica di rifiuti in prossimità della sua abitazione, ne chieda la chiusura, al fine di evitare esalazioni pregiudizievoli, ed altresì chieda il risarcimento del danno, non si sottrae alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto si collega a posizioni di diritto soggettivo (diritto alla salute e diritto di proprietà), mentre l’eventuale interferenza di quelle pretese su atti amministrativi non determina difetto di giurisdizione, ma rileva solo sotto il profilo dei limiti interni delle attribuzioni di detto giudice ordinario (divieto di annullare, modificare o revocare il provvedimento amministrativo, ai sensi dell’art. 4 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E). * Cass. civ., Sezioni Unite, 12 giugno 1990, n. 5714, Comune Orbetello c. Zanoti e Rossi.

 

Il provvedimento di attribuzione dell’incarico di progettazione di una discarica per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani non ha natura immediatamente lesiva degli interessi di soggetti operanti nell’area. * Tar Piemonte, sez. II, 21 gennaio 1999, n. 1.

 

I reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti tossici e nocvi senza autorizzazione hanno natura di reati permanenti, che possono realizzarsi soltanto in forma commissiva. Ne consegue che essi non possono consistere nel mero mantenimento della discarica o dello stoccaggio da altri realizzati, pur in assenza di qualsiasi partecipazione attiva e in base alla sola consapevolezza della loro esistenza. (Fattispecie relativa all’addebito delle contravvenzioni in premessa a persona che, dopo aver acquistato la qualità di legale rappresentante di una società, non aveva né movimentato, né altrimenti toccato una discarica abusiva sita nell’area cortiliva aziendale. La S.C. ha escluso, sulla base del principio di stretta legalità, qualsiasi responsabilità di tale soggetto). * Cass. pen., Sezioni Unite, 28 dicembre 1994, n. 12753 (ud. 5 ottobre 1994), Zaccarelli, in Riv. pen. 1995, 161.

 

In caso di gestione di una discarica di rifiuti in carenza delle prescritte autorizzazioni di cui agli artt. 27 e 28 del D.L.vo n. 22/1997 (nella specie: riapertura della gestione di una discarica mediante ripetuti ed ingenti scarichi di rifiuti durante un considerevole arco di tempo, in assenza delle menzionate autorizzazioni e, quindi, in violazione dell’art. 51, comma 3, del citato decreto), può essere disposto il sequestro preventivo dell’area soggetta a confisca su cui insiste la discarica, se di proprietà di uno degli indagati, ex art. 321, comma 2, c.p.p., a prescindere dai presupposti di cui all’art. 321, comma 1, c.p.p. * Pret. pen. Udine, uff. Gip, decr. 17 dicembre 1998, Bellotto, in Riv. pen. 1999, 582.

 

I materiali provenienti da demolizioni e scavi costituiscono rifiuti speciali a norma dell’art. 2, comma quarto, n. 3 D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 e scaricarli in un’area determinata attraverso una condotta ripetuta anche se non abituale e protratta per lungo tempo, configura quella realizzazione o gestione di discarica, per la quale è richiesta l’autorizzazione di cui all’art. 6 lett. d) citato D.P.R. * Cass. pen., sez. III, 11 febbraio 1998, n. 1654 (ud. 28 novembre 1997), Verrastro.

 

Integra gli estremi del reato di discarica abusiva l’accumulo di materiale all’interno di una cava (nella specie loppa) per un lungo intervallo temporale e per notevolissime quantità, nella mera prospettiva della sua utilizzazione ai fini del recupero ambientale o della sua vendita.

* App. pen. Lecce, 25 giugno 1999, Valerio, in Riv. pen. 1999, n. 9.

 

La destinazione a zona agricola di un’area, salva la previsione di particolari vincoli ambientali o paesistici, non impone, in positivo, un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, bensì, in negativo, ha lo scopo soltanto di evitare insediamenti residenziali, con la conseguenza che risulta compatibile con la zona agricola stessa, senza la necessità di alcuna preventiva variante urbanistica, la localizzazione di una discarica per rifiuti solidi urbani. Cons. di Stato, sez. V, 15 giugno 2001, n. 3178 (c.c. 8 gennaio 2001). Pres. Quaranta – Est. Borea – Ric. Soc. Vassallo e figli s.r.l. ed altro c. Prefetto della Provincia di Napoli ed altri

 

E' configurabile il reato di gestione di discarica abusiva di rifiuti speciali quando esista una rudimentale organizzazione di persone e cose, diretta al funzionamento della medesima. Sussiste, invece, la contravvenzione di realizzazione di discarica, quando vi sia l’allestimento di un’area con effettuazione di opere a ciò occorrenti (spianamento del terreno, apertura di accessi, sistemazione, perimetrazione, recinzione). Il reato di gestione è caratterizzato dalla permanenza, che cessa con il rilascio dell’autorizzazione o con la chiusura o la disattivazione o con la sentenza di primo grado.

Cass. pen., sez. III, 29 aprile 1997, n. 4013 (ud. 11 aprile 1997), Vasco. (D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 25), con nota di PIERFAUSTO PAGLIARA, in Riv. pen. 1998, 264.

 

Non è configurabile il reato di realizzazione di discarica abusiva nel caso di uno scarico episodico ed occasionale di un non ingente quantitativo di rifiuti sul suolo, in uno spazio dalle dimensioni modeste e senza che l’area sia stata destinata di fatto a deposito o ricettacolo di rifiuti. (Nella specie, il quantitativo di rifiuti speciali conferiti sul suolo è di circa 2 metri cubi).

* Pret. pen. Udine, 5 novembre 1998, Ferro. (D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915), con nota di SERENELLA BELTRAME, in Riv. pen. 1999, 371.

 

Le difficoltà economiche del Comune nella gestione della discarica di rifiuti urbani non escludono il dovere, penalmente sanzionato, di richiedere l’autorizzazione regionale, non integrando causa di giustificazione e di non esigibilità. La gestione dei rifiuti costituisce infatti per i Comuni una assoluta priorità, in quanto incide su interessi di rango costituzionale, come la salute dei cittadini e la protezione delle risorse naturali, sicché non ha rilievo giuridico la insufficienza delle risorse, dovendo le stesse essere destinate in via prioritaria al soddisfacimento delle anzidette esigenze, rispetto ad altre. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso proposto dal Sindaco di un Comune avverso la condanna pronunciata nei suoi confronti per il reato di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 915 del 1982, ha osservato come nel caso in esame non fosse stato neppure esercitato il potere di cui all’art. 12 del medesimo D.P.R. n. 915 del 1982, ora disciplinato, in modo ancor più rigoroso, dall’art. 13 del D.L.vo n. 22 del 1997).

* Cass. pen., sez. III, 23 febbraio 2000, n. 2109 (ud. 10 gennaio 2000), Mucci P. (D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 12; D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 25).

 

Disciplina regionale
(L.R. Veneto 23.03.2001, n. 93, art. 10, comma 5; L. R. Veneto 21.01.2000, n. 3, art. 33, commi 3 e 4; L.R. Friuli-Venezia Giulia 14.06.1996, n. 22; L.R. Friuli-Venezia Giulia 28.11.1988, n. 65)

 

Non è manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 97, primo comma, 117, primo comma e 118, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 5, della legge 23 marzo 2001, n. 93, recante “Disposizioni in campo ambientale”, nella parte in cui impone alle province l’obbligo di istituire degli osservatori provinciali sui rifiuti. Regione Veneto, ric. alla Corte cost 9 maggio 2001. - Regione Veneto c. Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Non è manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 11, 41, 117 e 120 della Costituzione, nonché dell’art. 22 del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 33, commi 3 e 4, della legge regionale del Veneto 21 gennaio 2000, n. 3, nella parte in cui vieta il conferimento nelle discariche ubicate nel Veneto di rifiuti speciali provenienti da fuori regione, consentendo una riserva per tali rifiuti pari al 15% della capacità ricettiva residua alla data di entrata in vigore della legge. * TAR Veneto, sez. III, ord. di rinvio 30 novembre 2001.

 

Sono costituzionalmente illegittimi gli artt. 29 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1996, n. 22 (Modifiche alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi e di attività estrattive) e 16, comma 4, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 28 novembre 1988, n. 65 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi), in relazione all’art. 120 della Costituzione, limitatamente al divieto di smaltimento nelle discariche regionali dei rifiuti di provenienza extraregionale diversi da quelli urbani non pericolosi. Corte cost., 19 ottobre 2001, n. 335. (Ud. 8 ottobre 2001). Pres. Ruperto – Rel. Capotasti - Gesteco s.p.a. ed altro c. Provincia di Udine ed altro

 

È costituzionalmente illegittimo l’art. 2 della legge della Regione Friuli Venezia Giulia 14 giugno 1996, n. 22 (Modifiche alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi e di attività estrattive), nella parte in cui esclude dagli impianti di smaltimento gli impianti di depurazione, per conto terzi, di rifiuti liquidi, né tossici né nocivi, esonerando così la loro gestione dall’obbligo di autorizzazione. * Corte cost., 20 maggio 1998, n. 173 (ud. 8 maggio 1998), Di Taranto.

 

In tema di smaltimento dei rifiuti urbani speciali, la proroga (dal 28 febbraio al 31 ottobre, attuata con D.L. n. 212 del 1993) del termine per la comunicazione (prevista dal D.P.R. n. 915 del 1982 e D.L. 397 del 1988, convertito in legge n. 475 del 1988) alla Regione della qualità e quantità dei rifiuti prodotti e smaltiti nell’anno precedente deve intendersi estesa anche alla comunicazione alla Provincia che la legittimazione regionale (nella specie, la legge Reg. Liguria n. 1 del 1990, abrogata dalla legge regionale n. 40 del 1993) abbia eventualmente reso obbligatoria insieme con quella diretta alla Regione. * Cass. civ., sez. I, 14 aprile 1999, n. 3692, Amm. Prov. La Spezia c. Vesco.

 

 

 

Disciplina transitoria

(D.L.vo 05.02.1997, n. 22, art. 17, art. 51, art. 51 bis, art. 57)

 

La disposizione transitoria di cui al quinto comma dell’art. 57 della nuova disciplina dei rifiuti (D.L.vo n. 22/97) concede agli interessati sei mesi di tempo per conformarsi ad essa, ma non esclude affatto che nel frattempo siano osservate le normative previgenti e che siano applicate le relative sanzioni penali in caso di inosservanza. * Cass. pen., sez. III, 26 settembre 1997, n. 2810 (c.c. 11 luglio 1997), P.M. in proc. Artuso, in Riv. pen. 1997, 1006.

 

Ai fini dell’esclusione del reato previsto dall’art. 27 comma 1 del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 in materia di rifiuti che ha conservato la natura di illecito penale anche ai sensi del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, abrogativo del D.P.R. n. 915/82, in quanto l’art. 51, comma 4 della nuova normativa sanziona penalmente, più gravemente della precedente, l’inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate dalle autorizzazioni non è sufficiente che l’automezzo utilizzato per il trasporto di rifiuti speciali ospedalieri sia munito del nulla osta sanitario, non avendo quest’ultimo effetti equivalenti all’autorizzazione, originaria o integrativa, di competenza dell’Assessorato al territorio ed all’ambiente. * Cass. pen., sez. III, 21 novembre 1997, n. 10582 (ud. 14 ottobre 1997), Monastra, in Riv. pen. 1998, 175.

 

L’abrogazione delle norme preesistenti nella materia dei rifiuti ex art. 56 del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, non equivale a cancellazione dei fatti reati commessi in precedenza, ma solo ad una verifica di compatibilità con il nuovo regime giuridico, nel complesso più severo. * Cass. pen., sez. III, 10 aprile 2000, n. 4398 (ud. 3 marzo 2000), Martucci G.

 

In tema di smaltimento di rifiuti, nel caso in cui all’imputato sia addebitato di avere effettuato senza autorizzazione, nell’interno della propria lavanderia, lo stoccaggio provvisorio di fusti contenenti "percloroetilene", in attesa di reperire una ditta che smaltisse detti rifiuti tossico-nocivi, mentre con la vecchia disciplina di cui al D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 ogni fase dello smaltimento di tali rifiuti (raccolta e trasporto, stoccaggio provvisorio, trattamento, stoccaggio definitivo) era soggetta ad autorizzazione regionale (art. 16) ed in caso di inosservanza si concretava la contravvenzione di cui all’art. 26 citato D.P.R., con la nuova disciplina di cui al D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, innanzi tutto, scompare la categoria dei rifiuti tossico-nocivi: la classificazione di cui all’art. 7 di detto D.L.vo distingue i rifiuti in urbani e speciali, e questi ultimi in pericolosi e non, a seconda delle caratteristiche di pericolosità; in secondo luogo, il comportamento ascritto all’imputato, alla luce del nuovo decreto, non può più considerarsi attività di "stoccaggio", perché, così come definita dall’art. 6, comma 1, lett. l), essa ora consiste soltanto nel deposito preliminare di rifiuti finalizzato al sollecito compimento di una delle operazioni di smaltimento in senso stretto, sicché non si potrà, nel caso di specie, configurare "stoccaggio", ma tutt’al più "deposito temporaneo" di rifiuti, di cui alla successiva lett. m) del menzionato art. 6, così essendo, infatti, definito il raggruppamento di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, purché ricorrano sei specifiche condizioni, solo nel rispetto delle quali il deposito temporaneo di rifiuti, ai sensi dell’art. 28, comma 5, non è soggetto ad autorizzazione. (La S.C., osservato che i rifiuti "stoccati provvisoriamente" dall’imputato rientrano - ai sensi del menzionato art. 7 citato D.L.vo - tra quelli "pericolosi" e che le condizioni di cui sopra non sono state tutte rispettate nel caso in esame, con la conseguenza che non potrà considerarsi "deposito temporaneo", esente da autorizzazione, lo stoccaggio provvisorio effettuato, ha ritenuto che lo stesso dovrà allora essere considerato "deposito incontrollato" dei propri rifiuti pericolosi, sanzionato - dall’art. 51, comma 2, D.L.vo n. 22 del 1997 - ben più gravemente di quanto previsto dall’art. 26 D.P.R. n. 915 del 1982, che, in quanto lex mitior, deve applicarsi ai sensi dell’art. 2, terzo comma, c.p.). * Cass. pen., sez. III, 9 ottobre 1997, n. 9168 (ud. 15 luglio 1997), Ciarcià.

 

Lo stoccaggio provvisorio, senza autorizzazione, di rifiuti tossici-nocivi integrava la contravvenzione punita ex art. 26 del D.P.R. n. 915/1982. In seguito all’entrata in vigore del D.L.vo n. 22/1997, tale condotta deve essere qualificata come deposito incontrollato dei propri rifiuti pericolosi, sanzionato dall’art. 51, secondo comma, del decreto legislativo suddetto. (Nella fattispecie l’imputato aveva effettuato, per oltre sei anni e senza autorizzazione, all’interno della propria lavanderia, lo stoccaggio provvisorio di fusti contenenti percloroetilene, in attesa di reperire una ditta che smaltisse detti rifiuti tossico-nocivi). * Cass. pen., sez. III, 9 ottobre 1997, n. 9168 (ud. 15 luglio 1997), Ciarcià.

 

La condotta già penalmente sanzionata dall’art. 32 del D.P.R. 915/82 (mancata adozione di “tutte le misure necessarie ad evitare un deterioramento, anche temporaneo, della situazione igienico-sanitario ed ambientale preesistente”), deve ritenersi tuttora sanzionabile, in quanto ricompresa nelle previsioni di cui agli artt. 17 e 51 bis del D.L.vo 22/97, in base ai quali è sottoposto a sanzione penale non solo chiunque “cagiona l’inquinamento” ma anche chiunque “cagiona un pericolo concreto e attuale di inquinamento”. Del reato di cui all’art. 32 del D.P.R. 915/82 possono rispondere anche gli amministratori del comune e non soltanto gli organi tecnici. * Cass. pen., sez. III, 13 gennaio 1999, n. 280 (ud. 17 novembre 1998), Palascino.

 

Il comportamento di chi contravveniva all’art. 25 comma 1 del D.P.R. 915/82 è tuttora punito dall’art. 51 comma 1 del D.L.vo 22/97, ponendosi soltanto il problema di applicare in concreto la norma più favorevole all’imputato. Nonostante, infatti, l’abrogazione del D.P.R. 915/82, la condotta di colui che effettua uno smaltimento o un trasporto non autorizzato di rifiuti è prevista ancora come reato senza soluzione di continuità nel tempo. * Cass. pen., sez. III, 17 maggio 1999, n. 6107, Pluda e altri.

 

La nuova disciplina sui rifiuti, di cui al D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, non prevede per il periodo transitorio (art. 57) alcun reato analogo a quello di omessa adozione di tutte le misure necessarie ad evitare un deterioramento della situazione igienico-sanitaria ed ambientale preesistente, di cui alla norma transitoria di cui all’art. 32 D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, né è applicabile la deroga al principio della non ultrattività della norma incriminatrice stabilita dall’art. 2, quarto comma, c.p. in quanto l’art. 32 in questione è, sotto tutti gli aspetti, semplicemente una disposizione transitoria, che è cosa ben diversa da una legge eccezionale o temporanea. (Fattispecie relativa ad annullamento senza rinvio, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, di sentenza di condanna, limitatamente al reato di cui al citato art. 32 D.P.R. n. 915 del 1982, per avere l’imputato, sindaco di un comune, nel gestire una discarica di rifiuti solidi urbani senza autorizzazione regionale, omesso di adottare tutte le misure richieste dalla predetta norma). * Cass. pen., sez. III, 9 ottobre 1997, n. 9157 (ud. 15 luglio 1997), Felice.

 

Il D.P.R. 915/82 non è stato totalmente abrogato dal D.L.vo 22/97 in quanto alcune fattispecie sono state concretamente riprodotte in quelle posteriori, pur se con una terminologia differente. Occorre, pertanto, esaminare le singole ipotesi astratte, per verificare la disciplina vigente ed applicabile ai fatti accaduti prima dell’entrata in vigore del D.L.vo 22/97. * Cass. pen., sez. III, 21 ottobre 1998, n. 10952 (ud. 21 novembre 1998), Boccanera.

 

Attesa l’esistenza di un riconoscibile nesso di continuità e di omogeneità fra le previsioni dell’art. 25 dell’abrogato D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 e quelle dell’art. 51, comma 1, del vigente D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, deve escludersi che non costituisca più reato lo smaltimento non autorizzato di rifiuti urbani e speciali, trattandosi, al contrario, di condotta da considerare tuttora sanzionabile ai sensi del citato art. 51, comma 1, del D.L.vo n. 22/1997, il quale altro non ha fatto se non ampliare e tipizzare ulteriormente le previgenti previsioni incriminatrici. * Cass. pen., sez. III, 10 febbraio 1999, n. 3608 (ud. 24 novembre 1998), P.G. c. Panza ed altri.

 

Le attività di smaltimento dei rifiuti tossico-nocivi senza la prescritta autorizzazione regionale ed in spregio alle prescrizioni tecniche di cui alla delibera interministeriale 27 luglio 1984, già sanzionate dall’art. 26 dell’abrogato D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, costituiscono tuttora reato ai sensi dell’art. 51, comma 1, lett. b), del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22. * Cass. civ., sez. III, 23 dicembre 1998, n. 13577 (ud. 10 novembre 1998), P.G. c. Busi.

 

L’accumulo non autorizzato, in area di propria pertinenza di materiali qualificabili come tossici e nocivi (nella specie, lastre di eternit e materiali di coibentazione contenenti amianto, custoditi all’interno di uno stabilimento e protetti da un telone impermeabile), già qualificabile come reato in base alle previsioni di cui all’art. 26 dell’abrogato D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, vigente all’epoca del fatto, rientra oggi nelle previsioni di cui all’art. 51, comma 2, del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, in base al quale detto accumulo può costituire reato solo se “incontrollato”, di tal che, difettando tale ultima condizione, il fatto non può più dirsi penalmente sanzionato. * Cass. pen., sez. III, 30 novembre 1998, n. 12538 (ud. 30 settembre 1998), Tirigallo.

 

Esiste una continuità sostanziale dell’illecito relativo al deposito incontrollato di rifiuti tra il D.P.R. n. 915/82 ed il D.L.vo n. 22/97, in quanto ora tale comportamento è sanzionato in modo diretto dall’art. 51, comma 2, del cd. “Decreto Ronchi”, mentre nella disciplina previgente rientrava nel concetto generale di smaltimento senza autorizzazione ex artt. 16 e 26 del suindicato D.P.R. · Cass. pen., sez. III, 23 febbraio 2000, P.M. in proc. Terrile.

 

Le condotte consistenti nella gestione di una discarica comunale di rifiuti solidi urbani senza autorizzazione regionale e senza adottare tutte le misure necessarie ad evitare un deterioramento della situazione igienico-sanitaria ed ambientale preesistente erano punite dagli artt. 25, secondo comma, e 32, secondo e terzo comma, del D.P.R. n. 915/1982. Con l’entrata in vigore del D.L.vo n. 22/1997 la gestione di una discarica non autorizzata è punita dall’art. 51, terzo comma, del decreto legislativo suddetto. La nuova disciplina, invece, non prevede alcun reato analogo a quello contemplato dall’art. 32 D.P.R. n. 915/1982, né è applicabile la deroga al principio della non ultrattività della norma incriminatrice, stabilita dall’art. 2, quarto comma, c.p., in quanto l’art. 32 è semplicemente una norma transitoria e non una legge eccezionale o temporanea.

* Cass. pen., sez. III, 9 ottobre 1997, n. 9157 (ud. 15 luglio 1997), Felice. (Mass. redaz.). (D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51)

 

Con l’entrata in vigore della nuova normativa in materia di rifiuti, l’abbandono incontrollato sul suolo o l’immissione nelle acque superficiali o sotterranee di rifiuti allo stato liquido compresi nel Catalogo europeo sono puniti come illecito amministrativo dall’art. 50 del D.L.vo n. 22/1997, mentre lo scarico da insediamenti produttivi o civili di acque reflue non comprese nel suddetto Catalogo europeo continua ad essere disciplinato, a seconda dei casi come illecito penale o come illecito amministrativo, dalla L. n. 319/1976 e successive modifiche.

* Cass. pen., sez. III, 9 aprile 1998, n. 4280 (ud. 13 febbraio 1998), Ciurletti. (Mass. redaz.). (D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, art. 14; D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, art. 50; L. 10 maggio 1976, n. 319), in Riv. pen. 1998, 431.

 

 

Fanghi, fertilizzanti e liquami

(D.L.vo 05.02.1997, n.22; D.L.vo 27 gennaio 1992, n. 99)

 

Il D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 non esclude dalla materia dei rifiuti le attività di trattamento degli scarti che danno origine ai fertilizzanti, e sottopone gli insediamenti che producono fertilizzanti alle normali obbligazioni attinenti alla gestione dei rifiuti. L’originaria esclusione dei fertilizzanti prevista nell’art. 8, punto d), del D.L.vo 22 del 1997 è venuta meno in forza delle modifiche apportate dal successivo D.L.vo 8 novembre 1997 n. 389. La mancanza della autorizzazione regionale, che comportava la sanzione di cui all’art. 27 del D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915, è ora prevista dall’art. 52, comma quarto, del D.L.vo 22 del 1997. * Cass. pen., sez. III, 13 gennaio 1999, n. 282 (ud. 17 novembre 1998), Facchi F.

 

I fanghi di perforazione provenienti da attività petrolifere costituiscono rifiuti anche ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. Gli stessi non rientrano tra i rifiuti pericolosi, ma tra i rifiuti speciali ai sensi dell’art. 7 del medesimo D.L.vo. Infatti la lett. c) del terzo comma dell’art. 7 dispone che sono rifiuti speciali i rifiuti da lavorazioni industriali, e non può esservi dubbio che i fanghi di perforazione rientrino nella categoria dei rifiuti da lavorazioni industriali. * Cass. pen., sez. III, 7 marzo 2000, n. 2731 (ud. 26 novembre 1999), Bonassisa G. ed altro.

 

La riutilizzazione del fango ottenuto dopo il trattamento dei fanghi originari per la copertura dei rifiuti in discarica è operazione consentita anche ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in quanto l’art. 6, lett. h) qualifica come recupero le operazioni previste nell’allegato C, e tale allegato prevede e consente l’operazione di recupero consistente nello spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia, e non vi è dubbio che in tale operazione rientri anche lo spandimento per ricoprire i rifiuti di una discarica. * Cass. pen., sez. III, 7 marzo 2000, n. 2731 (ud. 26 novembre 1999), Bonassisa G. ed altro.

 

In materia di smaltimento di rifiuti speciali, va precisato che i decreti legge susseguitisi a partire dal D.L. 9 novembre 1993, n. 443 sino al D.L. 6 giugno 1996, n. 462, nessuno dei quali è stato convertito in legge, ma i cui effetti sono stati fatti salvi dalla legge 11 novembre 1996, n. 575, ponevano precise condizioni alle quali subordinavano l’esonero dalla regolamentazione prevista dal D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, e cioè sia la prova oggettiva ed effettiva della destinazione al riutilizzo di tutti i rifiuti considerati, solo in tal caso, come residui, sia la individuazione del residuo ai sensi del D.M. 5 settembre 1994. (Nella specie la Corte ha qualificato come residui i fanghi di perforazione in quanto l’allegato 3 al D.M. 5 settembre 1994, include, all’art. 8, i detriti di perforazione provenienti da attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi nella categoria dei residui). * Cass. pen., sez. III, 7 marzo 2000, n. 2731 (ud. 26 novembre 1999), Bonassisa G. ed altro.

 

La disciplina giuridica per i fertilizzanti rimane quella sui rifiuti, come disciplinati dal D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915 ed ora dal D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, per alcuni obblighi essenziali quali autorizzazione preventiva regionale, obblighi di registrazione, ecc. mentre per altri obblighi aggiuntivi trova attuazione il D.L.vo 27 gennaio 1992 n. 99, che riguarda l’aspetto della concreta utilizzazione di fanghi di depurazione in agricoltura. * Cass. pen., sez. III, 13 gennaio 1999, n. 282 (ud. 17 novembre 1998), Facchi F.

 

Anche dopo l’abrogazione del D.P.R. 915/1982, avvenuta con l’art. 56 del D.L.vo 22/1997, la utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura è sottoposta alle disposizioni di cui all’art. 33 del D.L.vo 22/1997, disciplinante le operazioni di recupero dei rifiuti, e può integrare la violazione dell’art. 51 dello stesso decreto in caso di gestione dei rifiuti non autorizzata. (Nel caso la Corte ha osservato che il D.L.vo 27 gennaio 1992 n. 99, concernente l’utilizzazione di fanghi di depurazione in agricoltura prevedeva la applicabilità delle sanzioni penali contenute dal D.P.R. 915/1982, e che alla previsione dell’art. 25 del D.P.R. 915 si è ora sostituita quella dell’art. 51 del D.L.vo 22/1997). * Cass. pen., sez. III, 11 ottobre 1997, n. 2819

(c.c. 15 luglio 1997), Quattrociocchi A.

 

Il D.L.vo 27 gennaio 1992, n. 99 disciplina unicamente i fanghi (umidi-disidratati, essiccati) provenienti da processi di depurazione degli scarichi di insediamenti civili, misti o produttivi assimilabili ai primi, nonché i fanghi trattati, senza alcuna distinzione tra quelli derivanti da cicli di lavorazione o da processi di depurazione. Ne deriva che restano esclusi sia i fanghi di depurazione degli scarichi produttivi «non assimilabili», sia i fanghi provenienti da impianti diversi da quelli indicati dall’art. 2, sia i residui da processi di potabilizzazione, sia i fanghi residuati da cicli di lavorazione non trattati e quelli non destinati all’agricoltura. Quest’ultima esclusione deriva dalla delimitazione contenuta nella direttiva (dir. cons. 12 giugno 1986, n. 278) che il decreto legislativo de quo ha recepito. * Cass. pen., sez. III, 5 novembre 1996, n. 9402 (ud. 23 settembre 1996), Cantatore.

 

L’attività di estrazione di ghiaia rientra nella disciplina del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 e, dopo la sua abrogazione, del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, per tutte le singole operazioni di smaltimento dei rifiuti, siano essi solidi o liquidi, con esclusione delle operazioni - concernenti i liquidi - attinenti allo scarico e riconducibili alla disciplina della legge 10 maggio 1976, n. 319, con l’unica eccezione dei fanghi e liquami tossici e nocivi, già regolati dal citato D.P.R. n. 915 del 1982. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso avverso sentenza di condanna, la S.C. ha osservato che la decisione impugnata aveva correttamente considerato scarico la fuoriuscita dalle vasche di decantazione dell’insediamento produttivo di acque contenenti in sospensione materiali inerti che si riversavano in quelle del fiume con eccedenza dei parametri fissati nella tabella A della legge Merli, quanto ai solidi sedimentabili ed ai materiali in sospensione). * Cass. pen., sez. III, 11 giugno 1997, n. 5605 (ud. 21 maggio 1997), Beciani e altro.

 

Il D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 non esclude dalla materia dei rifiuti le attività di trattamento degli scarti che danno origine ai fertilizzanti, e sottopone gli insediamenti che producono fertilizzanti alle normali obbligazioni attinenti alla gestione dei rifiuti. L’originaria esclusione dei fertilizzanti prevista nell’art. 8, punto d), del D.L.vo 22 del 1997 è venuta meno in forza delle modifich

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