La nostra Costituzione all’art. 32, comma 1, afferma che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività. Un’evidente doppia componente e direzione della protezione, che fonda la legittimità dei trattamenti sanitari obbligatori, di cui si occupa il secondo comma della medesima disposizione, consentendoli espressamente alla condizione che sia la legge a disciplinarne il regime. La garanzia dell’individuo è quindi affidata alla c.d. “riserva di legge” e al controllo, affidato alla Corte costituzionale, sul corretto uso della discrezionalità del legislatore. In fondo lo stesso livello di riconoscimento e di tutela che la nostra carta fondamentale riconosce ad altri diritti individuali cari all’ideologia liberale, come la proprietà e la libertà d’impresa. Fermo restando che quando sono in gioco i valori fondamentali della persona, quali la vita e la salute, ogni altra libertà ed pretesa non possono che recedere. Quando la Corte ha preso in esame in passato le svariate norme che impongono trattamenti vaccinali (che è pratica risalente all’esperienza degli Stati preunitari, compreso lo Stato pontificio che già nel 1820 aveva reso obbligatorio il vaccino contro il vaiolo) non ha avuto esitazioni a confermarne la legittimità costituzionale, verificando esclusivamente ragionevolezza e proporzionalità del regime in concreto adottato nelle singole circostanze. Una posizione che di recente ha trovato anche il conforto della giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo che, pur ritenendo l’imposizione di obblighi vaccinali un’interferenza con il diritto tutelato dall’art. 8 CEDU, ha ugualmente legittimato l’intervento pubblico alla condizione che avvenga sulla base di una previsione normativa che abbia come obiettivo di proteggere la popolazione dal contagio di malattie che mettono in serio rischio la salute.
Non ha quindi fondamento la tesi sostenuta da alcune rappresentanze della magistratura del “dovere costituzionale e comunitario di disapplicazione del c.d. decreto green pass”, sostenendo, tra l’altro, che il relativo regime non sarebbe rispettoso del diritto europeo e della riserva di legge posta dall’art. 32 Cost. che non consentirebbe l’introduzione della misura con lo strumento del decreto legge. Come ha subito acutamente osservato la migliore dottrina costituzionalista la c.d. “riserva di legge” può essere soddisfatta da qualsiasi fonte primaria, termine che comprende gli atti con forza di legge emanati dal Governo. Oggi la disciplina del certificato verde Covid-19 è contenuta in un DL già convertito dal Parlamento in legge e non si vede proprio quale fondamento potrebbe avere una questione di costituzionalità che sollevi questo tipo di contestazione formale.
In ogni caso la certificazione verde Covid-19 non è una misura che imponga il vaccino ma unicamente una modalità per modulare il regime della circolazione delle persone sul territorio e l’accesso a luoghi e servizi, in base al diverso rischio di contagio. L’obbligo vaccinale vero e proprio è stato introdotto dall’art. 4 del DL n. 44/2021, convertito in Legge n. 76/2021, esclusivamente per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario. L’accertamento dell’inosservanza dell’obbligo compete all’azienda sanitaria locale di residenza (accertamento preceduto da un formale invito a sottoporsi alla vaccinazione) e determina l’automatica sospensione del diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implichino contatti interpersonali o comportino, in qualsiasi forma, il rischio di contagio. La norma prevede che l’accertamento, che comporta la sospensione, venga comunicato immediatamente dall’azienda all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine di appartenenza e che quest’ultimo proceda ulteriormente a comunicare la sospensione all’interessato. Questo meccanismo è effettivamente tortuoso perché prevede in sostanza una doppia comunicazione (da parte dell’azienda e da parte dell’Ordine) e l’interpretazione che ne ha dato il Ministero della salute che ha qualificato l’intervento degli Ordini come “presa d’atto”, ha determinato alcune federazioni nazionali di professioni sanitarie ad indirizzare gli Ordini locali ad assumere delibere di sospensione dall’albo professionale. Misura che la norma non prevede, dato che ha finalità di prevenzione della salute del paziente e non di sanzione del sanitario in conseguenza della sua decisione di non vaccinarsi nonostante l’obbligo legale.
Dalle vicende del green pass e dell’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie, appare evidente che un maggiore rispetto da parte di tutte le componenti della magistratura del canone della separazione dei poteri e da parte del legislatore di quello della certezza del diritto, che si rispetta principalmente dettando norme chiare e che non trasferiscano alla pubblica amministrazione l’onere di una complicata applicazione, sono le condizioni necessarie per assicurare il corretto governo della pandemia e per non dare corpo ad inutili quanto pretestuose polemiche politiche.