Le misure di contrasto alla pandemia promosse dai giudici

Pubblicato: 26 Novembre 2021 - Autore: Umberto Fantigrossi

Dallo scoppio della pandemia ad oggi si è sviluppata una forte polemica sollevata da coloro che hanno visto nelle misure varate dal Governo una deriva autoritaria ed una violazione di libertà e diritti costituzionalmente protetti. È davvero così? Una risposta negativa l’hanno data due recenti pronunce dei nostri massimi giudici, la Corte Costituzionale (Sentenza n. 198/2021) ed il Consiglio di Stato (Sentenza n. 7054/2021), che entrambe, con ampiezza di argomenti, dimostrano l’infondatezza di quelle tesi.

Il testo integrale di tali pronunce si trova nei rispettivi siti istituzionali. La prima riguarda il divieto di uscire dalla propria abitazione, imposto con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nella prima fase dell’epidemia. La seconda, l’obbligo vaccinale selettivo previsto per gli esercenti delle professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario dall’art. 4 del D.L. n. 44 del 2021, convertito in L. n. 76 del 2021.

Si tratta, peraltro, di una linea d’azione adottata non solo nel nostro paese e che sta trovando condivisione in pronunce di giudici comunitari, come l’ordinanza del Presidente del Tribunale dell’Unione europea del 29 ottobre 2021 n. 527/21, che ha respinto l’istanza di sospensione promossa da alcuni cittadini italiani che chiedevano il blocco dell’efficacia del regolamento UE 2021/953 che istituisce il certificato Covid digitale UE (il green pass europeo), affermando che tale misura non lede la libertà di circolazione. Anche il Conseil costitutionnel francese, con la propria decisione n. 824 del 5 agosto 2021, ha respinto la maggior parte delle censure sollevate nei confronti delle norme speciali varate per la gestione della crisi sanitaria.

La Corte costituzionale e il divieto di uscire dall’abitazione

Venendo alla prima vicenda, posta all’esame della nostra Corte costituzionale, la questione era stata sollevata dal giudice di pace di Frosinone, chiamato a giudicare la legittimità di una sanzione comminata per la violazione del divieto di uscire dalla propria abitazione e di spostarsi nel territorio comunale, sancito con il Dpcm 22 marzo 2020. Detto giudice prospettava che le disposizioni censurate violassero gli artt. 76, 77 e 78 della Costituzione, in quanto avrebbero sostanzialmente delegato la funzione legislativa, in materia di contenimento della pandemia da Covid-19, all’autorità di Governo per il suo esercizio tramite meri atti amministrativi – i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri –, in contrasto “con il principio indiscusso di tipicità delle fonti-atto di produzione normativa”, e al di fuori dell’unica ipotesi di emergenza costituzionalmente rilevante, quella dello stato di guerra.

La Corte ha, in primo luogo, preso atto della significativa modifica della disciplina speciale intervenuta con il passaggio dal primo D.L., il n. 6/2021, che conteneva una vera e propria delega in bianco al capo del Governo, al secondo, il n. 19/2021, con il quale si è introdotta la tipizzazione delle misure potenzialmente applicabili per la gestione dell’emergenza, e tale obiettivo ha perseguito “con una compilazione che riconduce a livello di fonte primaria il novero di tutte le misure applicabili all’emergenza stessa, nel cui ambito i singoli provvedimenti emergenziali attuativi potranno discernere, momento per momento e luogo per luogo, quelle di cui si ritenga esservi concretamente maggiore bisogno per fronteggiare nel modo più efficace l’emergenza stessa”. Si è poi rilevato che le previste misure restrittive sono adottabili solo “per periodi predeterminati” e quindi hanno carattere temporaneo, sono oggetto di preliminare illustrazione alle Camere e di relazione alle stesse con periodicità quindicinale e comunque vengono individuate sulla base di indicazioni fornite dal Comitato tecnico scientifico appositamente costituito. Oltre a ciò, la Corte ha rilevato che “la fonte primaria, pertanto, non soltanto ha tipizzato le misure adottabili dal Presidente del Consiglio dei ministri, in tal modo precludendo all’autorità di Governo l’assunzione di provvedimenti extra ordinem, ma ha anche imposto un criterio tipico di esercizio della discrezionalità amministrativa, che è di per sé del tutto incompatibile con l’attribuzione di potestà legislativa ed è molto più coerente con la previsione di una potestà amministrativa, ancorché ad efficacia generale. “In sostanza, il D.L. n. 19 del 2020, lungi dal dare luogo a un conferimento di potestà legislativa al Presidente del Consiglio dei ministri in violazione degli artt. 76 e 77 Cost., si limita ad autorizzarlo a dare esecuzione alle misure tipiche previste”.

In conclusione, quindi, semaforo verde da parte della Corte costituzionale ai Dpcm che così tanto hanno fatto discutere in questi mesi.

Il Consiglio di Stato e l’obbligo vaccinale selettivo

È toccato invece al Consiglio di Stato occuparsi delle contestazioni rivolte da gruppi di operatori sanitari nei confronti del D.L. n. 44/2021 che ha imposto per questa categoria l’obbligo vaccinale.

La vaccinazione costituisce espressamente, ai sensi dell’art.4, comma 1, di tale decreto, “requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati” ed è somministrata nel rispetto delle indicazioni fornite dalle Regioni, dalle Province Autonome e dalle altre autorità sanitarie competenti, in conformità alle previsioni contenute nel piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da Sar-CoV-2.

La sentenza (la n. 7045/2021), depositata il 20 ottobre scorso, in circa cento pagine di motivazione esamina approfonditamente e respinge tutti gli argomenti di ordine sovranazionale, costituzionale e amministrativo sostenuti dalle difese dei ricorrenti. I giudici amministrativi non tralasciano neppure di riferire delle risultanze della letteratura scientifica e dei più recenti documenti dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) (autorizzazione condizionata), dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e dell’Istituto superiore di sanità ISS), organo tecnico scientifico del Sistema sanitario nazionale. Su quest’ultimo aspetto, più propriamente riferito ai profili di ragionevolezza e di adeguatezza dell’istruttoria e della motivazione, la sentenza giunge alla conclusione che le risultanze statistiche evidenziano l’esistenza di un bilanciamento rischi/benefici assolutamente accettabile e conseguentemente i danni conseguenti alla somministrazione del vaccino per il SARS-CoV-2 devono ritenersi, considerata l’estrema rarità del verificarsi di eventi gravi e correlabili, rispondenti ad un criterio di normalità statistica. Osservano, inoltre, che i dati relativi alla drastica riduzione di contagi, ricoveri e decessi, ad oggi disponibili e resi di pubblico dominio dalle istituzioni e dagli enti sanitari, dimostrano sul piano epidemiologico che la vaccinazione – unitamente alle altre misure di contenimento – si sta dimostrando efficace, su larga scala, nel contenere il contagio e nel ridurre i decessi o i sintomi gravi.

Sul fronte degli argomenti più propriamente giuridici, la sentenza chiarisce, anzitutto, che è fuori luogo il richiamo all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in quanto tale disposizione consente l’ingerenza pubblica nella sfera privata e familiare a precise rigorose condizioni, fissate dalla più recente giurisprudenza della Corte EDU intervenuta proprio in materia di vaccinazioni obbligatorie. Conclusioni che sono ampiamente rispettate nel caso di specie, in quanto essa persegue una finalità di un interesse pubblico, il contenimento del contagio, per la tutela della società democratica, a tutela dei soggetti più fragili, di fronte ad una pandemia di carattere globale e alla minaccia di un virus a trasmissione aerea particolarmente pericoloso per i soggetti più vulnerabili, affetti già da altre malattie o anziani, mediante la somministrazione di un vaccino sulla cui efficacia e sicurezza si registra il generale consenso della comunità scientifica. A sostegno di questa interpretazione, della norma sovranazionale, viene richiamata la recente sentenza dell’8 aprile 2021 emessa dalla Grande Camera nella quale si afferma che le nove vaccinazioni obbligatorie introdotte nella Repubblica Ceca – in quel caso a tutela dei minori – possono costituire, ai sensi dell’art. 8 della CEDU, una legittima interferenza nel diritto al rispetto della vita privata quando vi sia una base legale, uno scopo legittimo ed esse siano necessarie in una società democratica per garantire, tra l’altro, il principio di solidarietà, che consiste nell’esigenza di proteggere tutti i membri della società e, in particolare, quelli che sono più vulnerabili, a tutela dei quali si chiede al resto della popolazione di assumersi un “minimo rischio” sotto forma di vaccinazione (v., in particolare, §§ 279 e 306 della sentenza).

Quanto ai profili di pretesa incostituzionalità, la sentenza li giudica infondati con ampi richiami alla giurisprudenza della Corte costituzionale (v., tra tutte, la sentenza n. 5 del 18 gennaio 2018, ma anche la sentenza n. 258 del 23 giugno 1994 e la sentenza n. 307 del 22 giugno 1990), secondo la quale la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria.

Nel caso in esame infatti l’obbligo di indennizzo è chiaramente garantito dall’art. 1 della L. n. 210 del 1992, la cui applicazione diretta è incontestabile anche alla vaccinazione obbligatoria prevista dall’art. 4 del D.L. n. 44 del 2021.

Un ultimo decisivo argomento, di ordine costituzionale, è svolto dai giudici del Consiglio di Stato con riferimento al valore, definito “fondamentale” della solidarietà, “cardine del nostro ordinamento costituzionale”, e, insieme con esso, “quei fondamentali obblighi di reciproca assistenza e protezione, per sé e per gli altri, anche essi parimenti posti a fondamento della nostra Costituzione (art. 2 Cost.), obblighi che legano ciascun individuo all’altro, indissolubilmente, in una “social catena” e in quel “patto di solidarietà” tra individuo e collettività che, secondo la stessa Corte costituzionale, sta alla base di ogni vaccinazione, obbligatoria o raccomandata che sia (Corte cost., 23 giugno 2020, n. 118)”.

In conclusione una promozione su tutta la linea, da parte della giurisprudenza delle nostre Corti superiori, dell’obbligo vaccinale per i sanitari ed un richiamo ai valori fondanti della nostra società democratica e dello Stato di diritto che si deve auspicare vengano sempre più compresi e praticati.

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