L’algoritmo nelle PA si impugna al TAR

Pubblicato: 30 Aprile 2019 - Autore: Umberto Fantigrossi

Quando una procedura amministrativa viene automatizzata, ma l’algoritmo, cioè il software che la fa operare, è male impostato e produce risultati irragionevoli o in contrasto con la legge, il rimedio è quello di considerarlo alla stregua di qualsiasi atto amministrativo e di impugnarlo al Tar.

Questo è l’importante principio accolto dal Consiglio di Stato, con la recente sentenza della Sesta Sezione n. 2270/2019.

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La questione è stata sollevata da docenti della scuola secondaria di secondo grado, che avevano partecipato alla procedura di assegnazione delle sedi di servizio, in applicazione del piano straordinario nazionale di cui alla legge n. 107/2015. Il Ministero aveva automatizzato l’intera procedura, il cui concreto funzionamento aveva dato luogo a situazioni paradossali, per cui docenti con svariati anni di servizio si erano visti assegnare degli ambiti territoriali mai richiesti e situati a centinaia di chilometri di distanza dalla propria città di residenza, mentre altri docenti, con minori titoli e minore anzianità di servizio, avevano ottenuto proprio le sedi dagli stessi richiesti. Il tutto senza alcuna motivazione e in difetto della benché minima trasparenza sui criteri utilizzati.

La sentenza prende posizione, prima di tutto, sul tema generale dell’informatizzazione della P.A., rilevandone i vantaggi e la coerenza rispetto ai canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (art. 1 l. 241/90), i quali, secondo il principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), impongono all’amministrazione il conseguimento dei propri fini con il minor dispendio di mezzi e risorse e attraverso lo snellimento e l’accelerazione dell’iter procedimentale.

Per questa ragione – affermano i giudici di Palazzo Spada – l’utilizzo di una procedura informatica che conduca direttamente alla decisione finale non deve essere stigmatizzata, ma anzi, in linea di massima, incoraggiata: essa comporta infatti numerosi vantaggi quali, ad esempio, la notevole riduzione della tempistica procedimentale per operazioni meramente ripetitive e prive di discrezionalità, l’esclusione di interferenze dovute a negligenza (o peggio dolo) del funzionario (essere umano) e la conseguente maggior garanzia di imparzialità della decisione automatizzata.

In altre parole, l’assenza di intervento umano in un’attività di mera classificazione automatica di istanze numerose, secondo regole predeterminate (che sono, queste sì, elaborate dall’uomo), e l’affidamento di tale attività a un efficiente elaboratore elettronico appaiono come doverose declinazioni dell’art. 97 Cost. coerenti con l’attuale evoluzione tecnologica.

Questo però a condizione che quella che viene definita “la regola algoritmica” (in sostanza il software), venga considerata come “una regola amministrativa generale, costruita dall’uomo e non dalla macchina” e come tale:

- sia sottoposta ai principi generali dell’attività amministrativa, quali quelli di pubblicità e trasparenza (art. 1 l. 241/90), di ragionevolezza, di proporzionalità, etc.;

- non lasci spazi applicativi discrezionali (di cui l’elaboratore elettronico è privo), ma deve prevedere con ragionevolezza una soluzione definita per tutti i casi possibili;

- rispetto ad essa sia sempre l’amministrazione a compiere un ruolo ex ante di mediazione e composizione di interessi, anche per mezzo di costanti test, aggiornamenti e modalità di perfezionamento dell’algoritmo (soprattutto nel caso di apprendimento progressivo e di deep learning), in quanto la discrezionalità amministrativa, se senz’altro non può essere demandata al software, è quindi da rintracciarsi al momento dell’elaborazione dello strumento digitale;

- sia impugnabile davanti al giudice che valuterà la correttezza del processo automatizzato in tutte le sue componenti.

Tutti elementi che richiedono e consentono, di concludere che l’algoritmo, ossia il software, deve essere considerato a tutti gli effetti come un “atto amministrativo informatico, con tutte le conseguenti tutele, tra le quali di particolare importanza quelle della piena trasparenza (la formula tecnica deve essere accompagnata da spiegazioni che la rendano leggibile e comprensibile al cittadino) e, come si è detto, dell’impugnabilità avanti il giudice amministrativo.

Non si può che salutare con favore questo approdo della giurisprudenza amministrativa che ci rende tutti meno esposti al “potere informatico” e quindi all’arbitrio dell’amministrazione automatizzata. L’unica minima notazione critica, che si può fare a questa decisione, riguarda il riferimento alla dottrina. L’estensore infatti fa cenno agli autori che hanno elaborato la nozione di “e-government”, a partire dall’inizio degli anni duemila. In realtà del software come atto amministrativo generale, impugnabile insieme alla decisione automatizzata, gli amministrativisti hanno iniziato a ragionare in studi monografici che risalgono a dieci anni prima.

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