La privacy come alibi delle Pa che negano la trasparenza: bilancio a 10 anni dal “codice”

Pubblicato: 08 Dicembre 2023 - Autore: Umberto Fantigrossi

Si è tenuto martedì scorso a Firenze, per iniziativa della Fondazione Cesifin- Alberto Predieri, un importante convegno che ha posto il tema se, trascorsi dieci anni dal varo del decreto legislativo n. 33 del 2013 che ha riordinato la disciplina dell’accesso civico e degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, il nostro paese sia effettivamente diventato più trasparente. Al tavolo dei relatori il ghota della giustizia amministrativa, a partire dal Presidente del Consiglio di Stato Luigi Maruotti e del Garante per la protezione dei dati personali con il Presidente Pasquale Stanzione, la Vice Ginevra Cerrina Feroni e il segretario generale, magistrato amministrativo, Fabio Mattei.

Nella prima relazione introduttiva la prof. ssa Margherita Ramajoli ha tratteggiato il sistema delle fonti che a livello sovranazionale ed interno, fondano come diritti soggettivi sia il diritto all’informazione, comprensivo del diritto alla trasparenza amministrativa, sia il diritto alla riservatezza ed illustrato le tecniche di bilanciamento che se impiegate dallo stesso legislatore ordinario possono comportare il sindacato avanti la Corte costituzionale, come avvenuto con la sentenza n. 20 del 2019 che ha riguardato i dati reddituali dei dirigenti pubblici. Il prof. Massimo Occhiena ha evidenziato l’attuale eccessiva frantumazione e complessità della trasparenza amministrativa e del regime dell’accesso, che determina incertezza e che andrebbe risolta con un intervento di semplificazione normativa. Il ruolo del Garante in materia è stato ampiamente illustrato nel corso del dibattito ed in particolare la prof. Cerrina Feroni ne ha sottolineato il ruolo di indirizzo svolto in posizione di neutralità. Anna Corrado del Tar Milano ha peraltro giustamente posto l’accento sull’esigenza di colmare la lacuna rappresentata dalla mancanza di un’autorità che nella dinamica istituzionale operi un bilanciamento a favore della trasparenza e assicuri il riconoscimento del diritto alla conoscibilità. Il Presidente Maruotti nel suo intervento ha

riconosciuto che la giurisprudenza amministrativa, nei primi anni della stagione della trasparenza avviata con la Legge n. 241 del 1990, aveva assunto posizioni restrittive, salvo poi approdare, con una serie di pronunce dell’adunanza plenaria, a prospettive più aperte nell’affermazione del principio di pubblicità ed infine ha rimarcato la natura di beni pubblici delle informazioni che la P. A. detiene nelle proprie banche dati, la cui gestione dovrebbe consentire e favorire l’accesso e con esso la partecipazione e la democrazia. Il Consigliere di Stato Nicola D’Angelo ha rappresentato la crescente debolezza dei regolatori ad affrontare il conflitto tra trasparenza e riservatezza in un contesto globalizzato in cui i gestori delle grandi piattaforme sono più potenti degli Stati stessi, evidenziando che va focalizzata l’attenzione anche sul tema del rapporto tra tutela dei dati e concorrenza, invocando infine una presa di coscienza forte e consapevole della politica. Il Presidente emerito Giuseppe Severini ha svolto un applaudito intervento per mettere in guardia dall’eccessivo ricorso all’oscuramento del nome delle parti nella pubblicazione delle sentenze, ricordando l’origine ed il fondamentale ruolo del principio di pubblicità del processo e dell’obbligo di motivazione.

Complessivamente alla domanda posta nel titolo del convegno si può dire che sia stata data una risposta positiva, anche se molto resta da fare e che, per un bilancio più aderente alla realtà, manchi l’analisi dell’avvocatura, quella che in tutti questi anni si è posta al fianco dei cittadini e ha toccato con mano la pervicace resistenza alla trasparenza di molte pubbliche autorità, le quali hanno spesso trovato in una malintesa privacy una comoda leva per tornare ai bei tempi degli arcana imperii.

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