Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, IV, n. 523 del 18 marzo 2024.
L’obbligo di ripristino ambientale contenuto nell’autorizzazione all’escavazione di una cava non si prescrive. L’inosservanza di detto obbligo determina un’alterazione del territorio che permane fino a quando non viene rimossa e costituisce un fatto illecito amministrativo.
In forza del combinato disposto degli artt. 14 e 25 della L.R.V. n. 44/1982 compete in via esclusiva alla Giunta regionale l’adozione dei provvedimenti finali (declaratoria di estinzione della cava ovvero intimazione all’esecuzione delle opere necessarie a soddisfare gli obblighi di ricomposizione), non essendo consentito ai funzionari regionali incaricati del sopralluogo di condizionare il rilascio del decreto di estinzione alla prestazione di una garanzia finanziaria non prevista dalla legge.
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La vicenda portata all’attenzione del Tar del Veneto appare emblematica del grave problema rappresentato dalla diffusa prassi di abbandono delle cave al termine dell’attività di escavazione, senza l’esecuzione degli interventi di ripristino originariamente previsti e con le conseguenti difficoltà per gli enti di ripristinare con mezzi adeguati la legalità e, insieme ad essa, il corretto assetto del territorio. Il tutto in una cornice normativa ancora ancorata ad una disciplina nazionale antica e improntata al massimo favor per l’attività estrattiva, che le più recenti norme regionali solo parzialmente sono riuscite ad allineare ai principi della tutela ambientale e alle esigenze di buon governo del territorio.
Nel caso specifico, al termine dei lavori di estrazione l’impresa cavatrice avrebbe dovuto ultimare la fase di ricomposizione ambientale del sito attenendosi alle prescrizioni del titolo autorizzativo. Tuttavia tale stadio dei lavori di coltivazione della cava non è stato portato a termine. L’impresa a sua giustificazione ha addotto, da un lato, il mutamento della titolarità dominicale dei terreni sui quali insisteva la cava e, dall’altro, l’approvazione di un diverso assetto urbanistico del sito di cava, entro il quale nell’agosto del 2014 la Provincia aveva pure autorizzato la realizzazione di un impianto di recupero e produzione di conglomerati bituminosi.
E’ quindi venuta in gioco la previsione dell’art. 14, comma 2°, della L.R. n. 44/1982, secondo cui il progetto di ricomposizione ambientale, per esigenze di carattere socio-economico, può anche prevedere destinazioni d'uso non agricole, quali quelle che l’impresa cavatrice avrebbe dovuto ricostituire, purché ciò sia previsto (tra gli altri) dagli strumenti urbanistici vigenti.
All’esito del sopralluogo per la verifica degli adempimenti connessi con l'ultimazione dei lavori di coltivazione, la Regione aveva constatato che l’area di cava era stata interessata da una variante urbanistica del P.R.G. del Comune finalizzata ad individuare e consentire un’attività produttiva “fuori zona”, ossia non conforme alla destinazione prevalentemente agricola assunta dal sito di cava. E inoltre che la Provincia aveva rilasciato all’attuale proprietà del sito l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto per lo stoccaggio, il recupero e la produzione di conglomerati bituminosi da ubicarsi sul fondo della cava.
In forza di tale doppio presupposto l’Amministrazione regionale aveva quindi ritenuto che gli obblighi ricompositivi contenuti nella d.G.R. del 1980 potessero dirsi “superati” in applicazione dell’art. 14, comma 2°, della L.R. n. 44/1982. Ma, al contempo, la Regione, constatando che i lavori dell’impianto non erano stati nemmeno iniziati, e vieppiù prendendo atto delle modalità di ripristino dei luoghi in caso di cessazione dell’attività industriale, ha apposto al verbale di sopralluogo la clausola per cui la redazione del provvedimento di estinzione veniva subordinata alla presentazione di idonea fidejussione a garanzia del rispetto di quanto previsto al punto 5 della Determinazione provinciale del 2014 riferita alla nuova attività di recupero e produzione di conglomerati bituminosi.
In sostanza la vicenda si caratterizza per un sorta di posticipazione dell’onere di ripristino ambientale al momento della cessazione del diverso utilizzo produttivo del medesimo sito già gravato dall’attività estrattiva cessata, diverso utilizzo, peraltro, neppure mai iniziato nel caso in esame.
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Il Tar ha innanzitutto vagliato e respinto il primo motivo di ricorso con il quale l’impresa ricorrente ha prospettato l’intervenuta prescrizione del potere regionale di imporre l’obbligo di ricomposizione ambientale all’uso agricolo dell’area di cava, per decorso del termine di dieci anni dal momento entro il quale il ripristino avrebbe dovuto essere ultimato.
L’argomentazione portata dalle sentenza a sostegno di questa conclusione appare ineccepibile.
Da un lato si rileva che si tratta della lesione di un interesse pubblico (quello alla conservazione anche sotto il profilo ambientale del territorio) c.d. sensibile, per cui le esigenze di tutela non sono destinate a venire meno per il decorso del tempo. Nel contempo, viene a concretizzarsi l’illecito amministrativo, tipizzato e sanzionato dall’articolo 33 L.R.V. n. 44/1985, che viene qualificato di natura mista, commissiva e omissiva, e dunque per definizione permanente.
Non essendo cessata la permanenza dell’illecito, rimane pertanto escluso, per il Collegio, che l’obbligo di ripristino ambientale a carico della società ricorrente possa dirsi prescritto per effetto dell’inutile decorso del periodo temporale individuato dall’impresa ricorrente.
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Il rimedio corretto a questa situazione di fatto di totale disallineamento tra le previsioni e gli obblighi dell’originaria autorizzazione all’attività di cava e lo stato dei luoghi, non può però essere, secondo la sentenza in commento, quello individuato dalla Regione con la condizione apposta al verbale di sopralluogo.
Tale soluzione, infatti, è preclusa dalla mancanza di copertura normativa (ai sensi dell’art. 23 Cost.) dell’imposizione di una prestazione economica rappresentata dalla nuova fideiussione. Da qui l’inevitabile e corretto accoglimento del secondo motivo di ricorso e l’annullamento del verbale impugnato e della relativa clausola condizionale.
Il Tribunale si è però fatto carico, nella parte finale della decisione, del come ricondurre il tutto a norma e ha fornito al riguardo una precisa indicazione: “rimangono salve ed impregiudicate, nei limiti dell’effetto conformativo che consegue dalla presente pronuncia, le determinazioni di competenza della Giunta Regionale in ordine alla declaratoria di estinzione della cava, anche alla luce del mutato quadro giuridico e fattuale conseguente alla decadenza dell’autorizzazione provinciale di approvazione del progetto ed autorizzazione alla realizzazione di un nuovo impianto di recupero e produzione di conglomerati bituminosi”. Con il che lasciando aperta la possibilità di intimare l’esecuzione delle opere necessarie a soddisfare gli obblighi, imprescrittibili e quindi non prescritti, di ricomposizione ambientale.