Grazie al TAR cresce la trasparenza amministrativa

Pubblicato: 30 Luglio 2021 - Autore: Umberto Fantigrossi

Tradizionalmente l’azione dei pubblici poteri si è svolta “in segreto”, senza coinvolgimento preventivo dei cittadini destinatari degli atti amministrativi. Questa impostazione di fondo ha iniziato ad essere rovesciata per effetto dei principi costituzionali, in primis quello democratico, per il quale ogni potere deve poter essere “partecipato” e controllato dai cittadini. Si tratta di un percorso lungo ed accidentato per le tante resistenze che le strutture burocratiche oppongono a questa impostazione per la perdita di potere che la connota. Ne è prova il significativo contenzioso che, in tema di accesso ai documenti amministrativi, si è sviluppato negli ultimi anni e che ha visto i tanto – e ingiustamente – vituperati TAR (tribunali amministrativi regionali) dare un contributo significativo a questa fondamentale rivoluzione copernicana dell’azione amministrativa. Richiamati i dati normativi principali, si esporranno alcune recenti decisioni che hanno interessato questa materia.

In base alla previsione generale dell’art.1 della Legge n. 241 del 1990: “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”.

Più recentemente il “principio generale di trasparenza” è stato così declinato dall’art. 1 del D. Lgs. n. 33 del 2013:

“1. La trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.

“2. La trasparenza, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d’ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali, concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino”.

“3. Le disposizioni del presente decreto, nonché le norme di attuazione adottate ai sensi dell’articolo 48, integrano l’individuazione del livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e costituiscono altresì esercizio della funzione di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione”.

I rapporti tra la disciplina della trasparenza amministrativa e la disciplina della tutela dei dati personali

In base alla previsione dell’art. 6, paragrafo 1, lett. e) del Regolamento UE n. 679 del 2016 il trattamento dei dati personali è lecito (anche senza il consenso dell’interessato) quando è necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento.

Tale base giuridica, in forza l’art.2-ter, comma 1, del D. Lgs. n. 196/2003 (articolo inserito dal D. Lgs. n. 101/2018) “è costituita esclusivamente da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento”. Questa previa previsione (di legge o di regolamento) è espressamente richiesta per “la diffusione e la comunicazione di dati personali, trattati per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri, a soggetti che intendono trattarli per altre finalità” (comma 2).

Quanto ai rapporti tra riservatezza e accesso, essi trovano le loro fonti di disciplina nell’art. 24, settimo comma della legge n. 241/1990 e negli artt. 59 e 60 del già richiamato D. Lgs. n. 196/2003.

L’art. 24, settimo comma, della L. n. 241/1990 sancisce, in sostanza, la priorità del diritto all’accesso ai documenti amministrativi rispetto al diritto alla riservatezza dei terzi in tutti quei casi in cui l’istanza ostensiva sia preordinata alla tutela ed alla difesa di propri interessi giuridici.

Occorre, tuttavia, distinguere tra diverse tipologie di dati in quanto, mentre con riferimento ai dati personali non diversamente qualificati, il diritto all’accesso ai documenti amministrativi prevale sempre sull’interesse alla riservatezza, a prescindere dalla preordinazione dell’accesso ad esigenze di difesa. Nel caso invece dei dati c.d. “sensibili” (idonei, cioè, a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od o organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale) il diritto d’accesso prevale solo laddove sia strettamente necessario alla tutela del diritto di difesa di interessi giuridici dell’istante a mente del già richiamato art. 24, settimo comma della L. n. 241 del 1990.

Con riferimento, poi, ai dati c.d. “ultrasensibili” idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, occorre, invece, effettuare un bilanciamento in concreto tra la situazione giuridica legittimante l’istanza ostensiva e il diritto alla riservatezza del controinteressato e, più in particolare, la prevalenza del diritto d’accesso è riconosciuta solo laddove il diritto di difesa attenga a beni di pari rango costituzionale o diritti della personalità o di libertà. Solo, infatti, laddove l’interesse sotteso all’istanza ostensiva sia, dunque, di pari rango o attenga alle libertà fondamentali o ai diritti della personalità e laddove, nella concreta situazione di fatto, l’interesse all’ostensione sia effettivamente indispensabile all’esercizio del diritto, l’accesso prevarrà rispetto al diritto alla riservatezza e, in ogni caso, a condizione che sia rispettato il principio di non eccedenza nel trattamento dei dati.

Un significativo esempio di come si debba effettuare, in ogni specifica situazione, un corretto bilanciamento tra i diritti alla riservatezza e alla trasparenza è rappresentato dalla Sentenza della Corte costituzionale n.20 del 2019. In questa decisione la verifica, da parte del giudice delle leggi, che le scelte legislative che operano questo bilanciamento rispondano positivamente ad un giudizio di ragionevolezza, è effettuato avvalendosi del cosiddetto test di proporzionalità. Viene richiamato al riguardo il Considerando n. 4 del Regolamento 679/2016 ove si legge che “il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità” .  Criterio, che, unitamente agli altri propri della disciplina sulla tutela del dati personali (necessità, pertinenza, non eccedenza) vanno sempre rispettati “pur al cospetto dell’esigenza di garantire, fino al punto tollerabile, la pubblicità dei dati in possesso della pubblica amministrazione” (paragrafo 3, ultimo capoverso del Considerato in diritto).

Affermazione che consente di confermare, come indirizzo di fondo della materia, che la regola generale in ambito pubblicistico è quella della pubblicità dei dati, anche personali, pubblicità che viene meno, trasformandosi nel suo contrario, solo ove si evidenzi un pregiudizio effettivo e concreto in capo alla persona fisica al quale il dato stesso si riferisce.

La recente giurisprudenza dei TAR a sostegno della trasparenza amministrativa

L’azione dei tribunali amministrativi regionali a favore della trasparenza è stata ed è fondamentale anche per superare un utilizzo strumentale delle norme sulla privacy. Lo dimostrano alcune recenti decisioni che meritano di essere segnalate e condivise. Ad esempio nel pieno dell’emergenza sanitaria per il Covid-19 il TAR del Lazio si è pronunciato per la piena accessibilità ai verbali del Comitato tecnico scientifico (Ordinanza n. 8615 del 2020), affermando che la ratio dell’intera disciplina normativa dell’accesso impone di ritenere che se l’ordinamento giuridico riconosce, ormai, la più ampia trasparenza alla conoscibilità anche di tutti gli atti presupposti all’adozione di provvedimenti individuali o atti caratterizzati da un ben minore impatto sociale, a maggior ragione deve essere consentito l’accesso ad atti, come i verbali in esame, che indicando i presupposti fattuali per l’adozione dei descritti DDPCM, si connotano per un particolare impatto sociale, sui territori e sulla collettività. In tale occasione è stato anche ribadito che le finalità dello strumento dell’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 33/2013, sono quelle di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, nonché di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.

In una più recente occasione, sempre il TAR del Lazio (Sent. n. 7769/2021) ha accolto il ricorso di alcuni candidati nel concorso per dirigenti scolastici, esclusi dell’elenco degli ammessi agli orali, dichiarando il diritto di accesso al codice sorgente in versione integrale del software utilizzato per il concorso, così aprendo un versante importante di tutela dei cittadini nei confronti dell’azione amministrativa automatizzata e per la trasparenza degli algoritmi utilizzati a questo scopo. In altra materia il TAR della Campania (Sent. n. 4630/2021) ha affermato l’accessibilità ai verbali completi e ai registri riportanti l’identificazione e le firme dei votanti all’elezione degli organi direttivi di un ordine professionale.

Molto discutere ha poi fatto la decisione del TAR Lazio (Sent. n. 7333/2021) che ha accolto, peraltro parzialmente) il ricorso di un avvocato fatto oggetto di un servizio giornalistico della nota trasmissione Report della RAI, teso ad ottenere l’accesso ai documenti utilizzati a supporto del servizio. Decisione rilevante, in primo luogo, perché afferma che dal carattere di servizio pubblico delle trasmissioni della RAI fa conseguire l’assoggettamento alla disciplina in tema di accesso di cui alla L. n. 241/90 e, in secondo luogo, in quanto afferma l’esigenza di assicurare anche per il tramite di questo istituto il rispetto dei caratteri essenziali del pluralismo, della democraticità ed imparzialità dell’informazione. Affermazione assolutamente condivisibile e che consente di contemperare l’autonomia del giornalista RAI con i connessi doveri e responsabilità.

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