Tutti noi quotidianamente usufruiamo di servizi che siamo abituati a definire “pubblici”, anche se, in molti settori, alla loro erogazione provvedono imprese private e il senso del loro essere di interesse collettivo si è progressivamente eroso. Quando subiamo un disservizio, non solo in via occasionale, ma anche in forma cronica, è assai raro che si vada oltre il generico reclamo e si prenda la via del ricorso alla giustizia. Eppure gli strumenti, in via teorica e stando alla normativa vigente, non mancano ed anzi appaiono addirittura sovrabbondanti.
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La Corte di Cassazione, con una recente sentenza delle Sezioni Unite (n. 33209 del 21 dicembre 2018) ha riaffermato che l’utente di un servizio pubblico può agire davanti al giudice amministrativo se il danno che lamenta “è il riflesso dell’organizzazione del servizio” e, quindi, in concreto, la contestazione verte sull’esercizio di un potere “sostanzialmente” amministrativo, che il gestore o l’ente vigilante ha male esercitato o non esercitato nel determinare la cornice che conforma la prestazione. Ci si dovrà invece rivolgere al giudice ordinario se la lite si pone sul versate del rapporto d’utenza e, quindi, chi agisce intenda ottenere il risarcimento dei danni, derivanti dal cattivo funzionamento dell’erogazione e chieda la condanna del gestore a provvedere alla soluzione tecnica dell’inconveniente, derivante dall’inadempimento del contratto. Una soluzione apparentemente semplice, conforme ad una serie nutrita di precedenti e comunque ancorata a dati normativi: da ultimo l’art. 133 del Codice del processo amministrativo del 2010, che attribuisce alla competenza esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi “escluse quelle concernenti indennità, canoni e ed altri corrispettivi”. Esclusione che, come si è visto, la Suprema Corte interpreta in senso estensivo, facendoci rientrare anche le cause risarcitorie da disservizio.
L’apparenza però, anche in questo caso, inganna. Infatti, in primo luogo, non è semplice oggi, nel contesto post privatizzazioni e liberalizzazioni, definire il perimetro stesso dei “pubblici servizi”. Basti richiamare, al riguardo, l’irrisolta questione, in ambito ferroviario, dei c.d. “treni a mercato” (A.V.) e della tutela in questo settore dei viaggiatori pendolari.
Altrettanto difficile è, poi, porre il confine tra il rapporto d’utenza e la sua regolazione da parte di una pluralità di atti di normazione secondaria e non solo (es. contratti di servizio, carte dei servizi, ecc.) e in questo quadro, estremamente complesso e variegato delle fonti e dei soggetti, capire quando si può davvero invocare la tutela davanti all’uno o all’altro giudice. E del resto la scelta del legislatore di individuare un caso di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo poi sottrargli l’ambito più rilevante di controversie, senz’altro rappresentante da quelle relative ai disservizi, sembra più dovuta ad un ossequio alla tradizione che all’attenta valutazione delle conseguenze pratiche sull’efficacia della tutela.
Se poi si considera che, quando si parla di disservizi, in settori come quelli dei trasporti, dell’energia, delle telecomunicazioni, gli utenti colpiti sono sempre una collettività, è preoccupante che anche le associazioni dei consumatori si trovino in molti casi nell’incertezza di quale azione di classe sia possibile utilizzare: se quella prevista da codice del consumo (art. 140 – bis) o quella regolata dal decreto legislativo n. 198 del 2009 in materia di efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici. La prima, ad esempio, è stata azionata con successo per ottenere il risarcimento dei danni subiti da centinaia di pendolari in occasione di un blocco del sistema di interscambio nelle stazioni milanesi (Corte d’appello di Milano, n. 3756 del 2017). La seconda è stata invece utilizzata in un giudizio che non si è ancora concluso, avanti il Tar della Lombardia, per ottenere il ripristino di adeguati spazi per la sosta dei viaggiatori nella Stazione centrale di Milano, trasformata di recente più in un centro commerciale che in un luogo al servizio delle esigenze dell’utenza. Vi sono, da ultimo, le molte procedure di conciliazione e mediazione, affiancate dalla possibilità di sollecitare l’esercizio dei poteri di controllo e di sanzione delle varie Autorità indipendenti di regolazione. Insomma, sulla carta, tante sono le armi di cui gli utenti vessati e malserviti possono avvalersi per tutelarsi di fronte ai gestori, ma forse è proprio questa sovrabbondanza e, alla fine, poca concreta praticabilità, che rendono il rapporto di utenza pubblica ancora troppo sbilanciato a danno dei cittadini.
Non ci resta che auspicare che qualche riformatore illuminato appaia sulla scena e si metta a scrivere un nuovo statuto dei diritti degli utenti dei servizi pubblici, in modo da rendere effettivo il primo di questi diritti, quello alla qualità.