Consiglio di Stato, IV, n. 7072 del 19 luglio 2023, Pres. Carbone, Est. Monferrante. Omissis – Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Regione Marche e altri.
In materia di bonifica, il proprietario del sito, non responsabile della contaminazione, è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi e ciò vale sia con riferimento agli obblighi di bonifica che con riguardo alle misure di messa in sicurezza di emergenza.
Oggetto del giudizio sono stati i provvedimenti che prescrivevano alla società ricorrente la messa in sicurezza d’emergenza (MISE) e la successiva bonifica dei terreni di competenza e della falda, nell’ambito delle operazioni generali di bonifica del sito di interesse nazionale del Basso Bacino Fiume Chienti identificato con DM 18.9.2001 n. 468 e successivamente perimetrato con DM 26.2.2003.
Venivano inoltre impugnate alcune prescrizioni riguardanti le operazioni di MISE e gli interventi di bonifica che la ricorrente aveva comunque attivato in maniera spontanea e collaborativa. In base ai dati delle analisi effettuate per la caratterizzazione dell’area, risultava una grave contaminazione del suolo e della falda.
Il giudice di primo grado (TAR Marche, n. 344/2016) si era pronunciato rigettando il ricorso, assumendo che vi fossero indizi sufficienti a comprovare il nesso di causalità tra l’attività dell’operatore e l’inquinamento accertato (vicinanza dell’impianto, corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati dall’operatore nell’esercizio della sua attività) e che in tale situazione sarebbe stato onere dell’operatore stesso fornire indizi a proprio favore circa l’assenza di responsabilità.
Nel giudizio d’appello la cornice di fatto riporta ad una situazione di contaminazione di area vasta (10 Km2), quindi di tipo diffuso e risalente agli anni ’70 e viene portata all’attenzione del Consiglio di Stato una sopravvenuta sentenza del giudice civile (Corte d’Appello di Ancona n. 1632/2016), la quale aveva escluso la responsabilità per danno ambientale verso enti pubblici di alcune imprese, tra le quali la ricorrente, sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio. In tale sede le conclusioni peritali erano nel senso dell’impossibilità di riferire la responsabilità dell’inquinamento alle convenute, in mancanza di verifiche istruttorie puntuali e ciò in ragione del carattere risalente e diffuso dell’inquinamento.
Dunque, riportata la fattispecie all’ipotesi del proprietario incolpevole, sulla base del condivisibile principio generale secondo il quale il giudice può utilizzare anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse (e anche altre) parti, il Consiglio di Stato ha, quindi, concluso in poche battute nel senso che, in tali circostanze, l’autorità amministrativa non possa imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario del sito non responsabile della contaminazione: il quale sarà tenuto esclusivamente al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente, nel limite di valore di mercato del sito stesso, determinato dopo l’esecuzione. Segue l’espressa e fondamentale puntualizzazione che “ciò vale sia con riferimento agli obblighi di bonifica che con riguardo alle misure di messa in sicurezza d’emergenza”, con richiamo alla più recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 3077 del 1° febbraio 2023.
Una prima osservazione non può che essere di soddisfazione, per aver potuto vedere operante e rispettata la funzione nomofilattica della Cassazione: funzione si può svolgere, ben più incisivamente di quanto avvenga nel sistema della giustizia amministrativa generale, quando oggetto del sindacato di legittimità sono le sentenze del Tribunale superiore delle acque pubbliche.
Resta il problema di fondo dello stato fallimentare del settore delle bonifiche nel nostro Paese, affidato dal legislatore nazionale ad un sistema che presupporrebbe capacità di intervento e disponibilità di risorse finanziarie in capo prevalentemente agli Enti locali; capacità e disponibilità che, nella stragrande maggioranza dei casi, mancano totalmente.
Uno spiraglio positivo viene dall’inserimento dei progetti relativi ai c.d. “siti orfani” tra le misure del Piano nazionale di ripresa e resilienza6, di cui occorrerà monitorare gli sviluppi.