P.A. : la difficile semplificazione.
di Umberto Fantigrossi (*)
Da oltre un decennio è in atto un’imponente azione di riforma delle pubbliche amministrazioni, per adeguarle alle nuove esigenze di modernizzazione del paese e per creare quel contesto di regolazione semplice ed efficace che viene invocato dalle imprese e dai cittadini. Se si tiene conto che i fondamenti dell’azione amministrativa e le principali leggi che la governavano risalivano ai primi del secolo e che non rilevantissimo era stato l’apporto innovativo della Costituzione, dieci anni possono effettivamente non essere un periodo sufficiente per trasferire i nuovi principi e le nuove regole nell’azione concreta dei pubblici uffici.
Va peraltro detto che l’azione di riforma che è stata intrapresa presenta alcune caratteristiche di fondo che andrebbero ripensate, se si vuole determinare un’accelerazione del cambiamento.
In primo luogo la p.a. appare più come la destinataria di un complesso imponente di nuove regole, poste dai legislatori, che non un soggetto attivo e protagonista del cambiamento. Basti pensare che dalla prima riforma generale posta con la legge n. 241/90 ad oggi si sono ininterrottamente prodotte decine di altre leggi, sia generali che settoriali, ognuna delle quali ha prodotto a sua volta molteplici regolamenti e disposizione attuative, sia a livello periferico che centrale. Poiché il cambiamento effettivo dell’azione amministrativa non è solo un risultato della disciplina legislativa, ma anche e soprattutto di cambiamenti di ordine organizzativo e procedimentale, questi ultimi per essere realizzati hanno a loro volta necessità di tempo e di stabilità del quadro di riferimento normativo. Se in questo arco di tempo il legislatore modifica nuovamente tale quadro le strutture pubbliche permangono in una condizione di “cantiere” permanente, senza giungere mai a completare e mettere in atto i propri processi di innovazione.
Si intravede poi, nell’approccio riformista di questi ultimi anni, una sfiducia di fondo nell’autonomia degli apparati amministrativi e nella discrezionalità che connota naturalmente e strutturalmente la cura concreta degli interessi pubblici. Ma mai come nelle società contemporanee, caratterizzate dalla complessità e dalla rapidità dei cambiamenti, ipotizzare che tutte le scelte collettive possano essere governate dalle leggi e dai regolamenti è un’utopia pericolosa. La cattiva amministrazione è certo un male da combattere, ma non si può pensare di riuscirci eliminando in radice il proprium stesso dell’amministrare, che consiste nel perseguire i fini indicati dalla legge e gli obiettivi posti dagli organi di indirizzo politico, ponderando interessi pubblici e privati.
Quindi non solo le imprese ma le stesse p.a. hanno bisogno di un quadro normativo ridotto all’essenziale e soprattutto stabile nel tempo. Occorre poi una forte azione di investimento sulle risorse umane e materiali a disposizione delle amministrazioni, introducendo meccanismi di flessibilità perché queste possano essere rapidamente allocate ove è più forte la domanda di efficienza amministrativa.
Al riguardo occorre essere consci che le recenti scelte istituzionali radicalmente federaliste rischiano, quanto meno nel breve periodo, di provocare una grave crisi degli apparati amministrativi locali, che potrebbero trovarsi di fronte ad una nuova ondata di legislazione regionale nonché privi della consistenza adeguata a far fronte ai nuovi compiti.
Va infine sempre tenuto presente che una buona amministrazione pubblica non si può ottenere senza che vi sia un apparato efficiente di controllo giurisdizionale, che possa intervenire in tempi rapidi per censurare non solo le violazioni di legge ma anche dei canoni deontologici dell’azione amministrativa. E’ di tutta evidenza al riguardo che l’attuale apparato dei Tar e del Consiglio di Stato non risponde più allo scopo e che il processo amministrativo va radicalmente riformato non solo per adeguarlo ai nuovi principi del giusto processo ma anche per renderlo maggiormente accessibile ai cittadini. Riformare la p.a. senza riformare in modo organico il suo processo sarebbe un ulteriore grave errore.
Un controllo di legittimità rapido ed efficiente dovrà inoltre essere consentito sulla nuova massa di leggi regionali che si determinerà in esito alla riforma federalista. Su questo fronte è la giustizia costituzionale che va ripensata, potenziando l’apparato della Corte e ammettendo l’accesso diretto dei cittadini alla sua giurisdizione.
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(*)
Università Cattaneo di Castellanza